REGGIO CALABRIA Quando si incrociano sulla porta dell’aula 12 del Tribunale di Reggio Calabria, a stento si rivolgono uno striminzito «ciao». Lei – fasciata in un tailleur all’ultima moda, con tanto di stola di volpe appoggiata sulla borsa griffata – gli dà subito le spalle e inizia a parlare con il suo legale. Lui, reduce dall’udienza, si guarda un attimo attorno, poi guadagna l’uscita seguito da uno sciame di macchine fotografiche e giornalisti. Non è certo stato un incontro caloroso quello fra la moglie di Amedeo Matacena e l’ex ministro Claudio Scajola, entrambi arrestati l’8 maggio scorso perché accusati di aver aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia a sottrarsi all’esecuzione di una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Da allora, i destini processuali dei due hanno seguito un percorso separato.
DESTINI (PER ADESSO) SEPARATI
Se l’ex ministro, insieme alla storica segretaria dei Matacena, Mariagrazia Fiordelisi, ha scelto fin da principio di farsi giudicare con rito ordinario, la Rizzo ha tentato invece la carta dell’abbreviato, salvo poi rinunciare dopo l’integrazione dell’aggravante mafiosa, come di nuovi episodi di intestazione fittizia nel capo di imputazione che le viene contestato. Una battaglia processuale durata diverse udienze, ma sfociata per lei come per lo storico braccio destro di Matacena, Martino Politi, in un procedimento con rito ordinario, destinato probabilmente ad essere riunito – o almeno così aveva anticipato qualche tempo fa il pm Giuseppe Lombardo – con quello che già vede alla sbarra Scajola e Fiordelisi, per ragioni di sostanziale sovrapponibilità dell’istruttoria.
IL PIANO PER SALVARE MATACENA NELLA DEPOSIZONE DI PAPALEO
Ma il momento non è ancora arrivato e quanto meno per adesso, i due procedimenti continuano a camminare su binari separati. In quello che vede alla sbarra l’ex ministro, anche oggi il vicequestore aggiunto Leonardo Papaleo, all’epoca delle indagini in forza alla Dia di Reggio Calabria, ha continuato a spiegare le manovre di Scajola per permettere a Matacena un comodo passaggio in Libano, dove avrebbe potuto continuare la propria latitanza mantenendo intatte possibilità e capacità operative. Un piano complicato, secondo gli inquirenti costruito grazie all’aiuto dell’omonimo nipote dell’ex senatore Pdl Vincenzo Speziali, che si sarebbe occupato di gestire i contatti istituzionali con le massime autorità del Libano, come l’ex presidente Amin Gemayel. Proprio da lui – stando ad una lettera ritrovata fra le carte sequestrate a Scajola – sarebbe arrivata l’assicurazione che il dossier Matacena sarebbe stato trattato con la massima attenzione.
L’INTERROGATORIO DI SCAJOLA CHE INGUAIA SPEZIALI
Circostanze nei mesi scorsi in larga parte ammesse anche dall’ex ministro Scajola, che in sede di interrogatorio di fronte ai pm Lombardo aveva dichiarato: «Speziali – ad ottobre, novembre – viene da me. Non so cosa fosse successo a Dubai. Io non ero molto contento perché Matacena là creava problemi a Chiara e ai suoi figli. (…) Io sostengo che lui farebbe bene a tornate qua. Speziali mi chiama il giorno dopo e mi dice “ma perché non chiede l’asilo politico in Libano?”. Questa roba la accenno a Chiara, ma si trascina fino a quando Speziali non mi propone un incontro a Roma, al quale – mi dice – “sarà presente uno dei consiglieri di Gemayel, tu e se porti anche Chiara si possono parlare”. Si programma, prendo i biglietti dell’aereo per venire giù con Chiara, ma tre o quattro giorni prima mi chiama Speziali per rimandare l’incontro, proponendomi invece una riunione ristretta. Lui mi dice che mi manda una nota via fax, che è questa lettera di Gemayel, o che almeno credo sia di Gemayel».
L’EX MINISTRO CONFERMA
È dunque dalla viva voce di Scajola che ai pm arriva la conferma che quella lettera rinvenuta dai segugi della Dia nell’ufficio dell’ex ministro, in cui si assicura che a Matacena verranno garantiti documenti e piena libertà in Libano, è di Amin Gemayel. «Ho pensato – aveva messo a verbale nei mesi scorsi l’ex ministro di fronte ai magistrati – che se l’avessi mandata a Chiara, lei a Roma non sarebbe venuta, quindi mi organizzo perché una volta arrivati lì mi dicano che l’incontro non c’è più. Ma poi lei non è partita, io mi sono visto con Speziali, gli ho spiegato la situazione in dieci secondi. Lui mi ha detto che la nota era di Gemayel, poi abbiamo parlato di altro. Qualche giorno dopo do la nota a Chiara».
LA SCENEGGIATA DI CHIARA
Circostanze oggi ricostruite in aula dal vicequestore Papaleo in punta di conversazioni intercettate e pedinamenti e completano il quadro sintetizzato da Scajola in sede di interrogatorio. Effettivamente, spiegherà l’ufficiale in aula, quell’incontro fra Scajola, Rizzo e Speziali era stato organizzato per il 16 gennaio, ma a complicare la situazione sarà Lady Matacena, che adducendo come scusa un inesistente malore del figlio, scenderà di gran carriera dall’aereo in partenza per Roma. Una sceneggiata organizzata con l’aiuto della madre, come confermato da una telefonata registrata dagli investigatori che ascoltano la Rizzo dire «mamma, tutto a posto. No, è perché non volevo andare in un posto e ho dovuto fare una cosa così. Hai capito… Ma non c’era niente».
I DUBBI DI SCAJOLA
Ma la farsa darà anche motivo di frizione fra Scajola e Rizzo, che rendendosi conto di aver creato un problema, cercherà di metterci una pezza, invitando Scajola ad andare comunque all’incontro. L’ex ministro – registrato dalla Dia – tentenna. «Il problema – dice – è che è di un complesso pauroso, io non so come venirne fuori, adesso non so… Sto andando in ritardo, ho fatto già chiamare che sono in ritardo ma non lo so, non lo so, non lo so”. In ballo c’è il “programma” per spostare Matacena da Dubai al Libano, ma nessuno vuole ufficialmente sporcarsi le mani. Scajola spiega che il personaggio che insieme a “Lady Champagne” avrebbero dovuto incontrare – e gli inquirenti identificano in Vincenzo Speziali – non intende assumere responsabilità se non parla con una persona di voi», ma Rizzo insiste: «Quello di oggi non è un problema perché siccome è un tuo amico, da quello che ho capito è molto tuo amico, quindi che motivo ha di non dirtelo a te il piano”.
INCONTRI E INCONTRI
Più preoccupata – spiega in aula Papaleo – la donna sembra essere per un secondo incontro, programmato per il 17 gennaio, «più delicato» perché destinato a sbloccare il conto che Matacena aveva presso la filiale del Banco di Napoli presente alla Camera dei deputati. Solo un tassello di un più ampio programma destinato non solo a “salvare” Matacena dall’arresto, garantendone la persistente operatività, ma anche a mantenere intatte le sue enormi possibilità economico-finanziarie, che il vicequestore aggiunto Papaleo nelle prossime udienze dovrà continuare a spiegare. L’auspicio – non troppo segreto – della pubblica accusa è che questo possa avvenire alla presenza degli altri due grandi protagonisti della vicenda, prima fra tutti Chiara Rizzo e in subordine lo storico braccio destro di Matacena, Martino Politi.
LE ECCEZIONI DELLE DIFESE DI RIZZO E POLITI
Ma perché questo succeda sarà necessario superare le nove eccezioni preliminari presentate oggi dal legale della donna, Candido Bonaventura, come dal difensore di Politi, l’avvocato Corrado Politi. Per la pubblica accusa, non si tratta di novità. I nove punti di doglianza che vanno dalla competenza territoriale, alla presunta lacunosità del capo di imputazione, dalla supposta nullità del decreto di giudizio im
mediato, alla presunta violazione delle norme che regolano il mandato di arresto europeo, sono stati già per due volte bocciati e rispediti al mittente, per ben due volte, prima dal Tribunale delle Libertà, quindi dal gip Tripodi, ma per i legali sono da mettere a conoscenza del collegio «perché possa decidere autonomamente al riguardo». La richiesta presentata dall’avvocato Bonaventura, cui si è associato l’avvocato Politi per quel che riguarda il suo assistito, è il trasferimento dell’intero procedimento a Roma per questioni di competenza, oppure di valutare la nullità del capo di imputazione relativo alla procurata inosservanza di pena, o ancora in subordine la “scrematura” dell’aggravante mafiosa dalle accuse contestate alla Rizzo.
LA DURA REPLICA DI LOMBARDO
Richieste e argomentazioni bocciate duramente dal pm Lombardo, che ha sottolineato come «pur non volendo polemizzare perché se determinati processi ai processi si vogliono fare da ieri esiste lo strumento normativo per farlo», alludendo alla norma sulla responsabilità civile dei magistrati passata ieri alla Camera, «ma corre l’obbligo di segnalare che qui siamo di fronte a un approccio pericoloso perché connotato da falsità». Per il pm, l’ennesima discussione sugli stessi nove punti di doglianza che fin dall’arresto della Rizzo vengono presentanti dai suoi legali, è sostanzialmente inutile perché «sono stati affrontati e risolti non dal Riesame o dal gip, ma dal Supremo collegio a sezioni unite. Oggi ci troviamo a discutere di principi giurisprudenziali stabili e autorevoli».
ISTANZA DI REVOCA DELLA MISURA PER LA RIZZO
Toccherà tuttavia al collegio esprimere una valutazione finale – già annunciata per la prossima udienza dell’11 marzo – come decidere sull’istanza della revoca della misura della dimora obbligata per la Rizzo, presentata per lei dal suo legale, secondo il quale non esisterebbe più alcuna possibilità di reiterazione dei reati. Una richiesta su cui il pm Lombardo si è riservato di esprimere il proprio parere, in modo da poter «debitamente documentare», come non “tutto il patrimonio sia stato sequestrato” e come Matacena sia di fatto ancora latitante.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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