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Centro cuore, i nomi dei manager segnalati alla Corte dei conti

REGGIO CALABRIA Sono i tre direttori generali – Carmelo Bellinvia, Mario Santagati e Leo Pangallo – e i tre direttori sanitari – Enzo Sidari, Domenico Mannino e Vincenzo Trapani Lombardo – i sei fu…

Pubblicato il: 03/03/2015 – 16:33
Centro cuore, i nomi dei manager segnalati alla Corte dei conti

REGGIO CALABRIA Sono i tre direttori generali – Carmelo Bellinvia, Mario Santagati e Leo Pangallo – e i tre direttori sanitari – Enzo Sidari, Domenico Mannino e Vincenzo Trapani Lombardo – i sei funzionari pubblici che la Guardia di finanza ha segnalato alla Corte dei conti per il presunto danno erariale di circa 40 milioni di euro, relativo alla mancata apertura del Centro cuore degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. 

Voluto nel 2005 dalla giunta Loiero, il reparto è la terza cardiochirurgia della regione, la seconda interamente pubblica se si esclude una nota clinica di Catanzaro, privata ma convenzionata con la Regione Calabria. Costato quasi 13 milioni di euro, il Centro cuore ha tre sale operatorie di cui una ibrida – cioè dotata di un macchinario per imaging cardiovascolare e interventistico che consente al chirurgo  un approccio mini-invasivo e estremamente preciso – nonché quattro  postazioni di anestesia/risveglio, una terapia intensiva cardiologica con nove posti, mentre una stanza è stata predisposta perché in futuro possa essere utilizzata per l’espianto di organi. Più ampia e organizzata secondo i criteri più moderni, la zona della degenza, in grado di ospitare fino a dieci pazienti. Ma queste non sono che alcune delle dotazioni di un reparto costruito all’insegna della tecnologia medica più avanzata, che da anni lotta con il rischio di diventare obsoleto in attesa di essere messo in funzione.

Una storia paradossale costata alla sanità pubblica non solo i 18 milioni di euro necessari per la materiale costruzione del reparto, ma anche oltre 7 milioni di euro l’anno di mancato risparmio. Stando alle stime più prudenti, infatti, il reparto sarebbe in grado di effettuare tra i 1200-1400 interventi cardiaci ogni anno, che oggi vengono invece effettuati fuori regione.

A ricostruire il limbo burocratico in cui il Centro cuore continua a barcamenarsi, sono stati i finanzieri del Nucleo polizia tributaria, sezione Tutela spesa pubblica. Al centro di una gara bandita dall’Asl nel 2006, l’appalto del centro viene inizialmente assegnato – nel settembre 2007 – all’Ati “Siemens medical solution spa”, con un’offerta di quasi 13 milioni, «chiavi in mano». Un’assegnazione impugnata con successo di fronte al Tar da una delle Ati concorrenti, composta dalla società lombarda “Ge medical system italia spa” e dalla ditta reggina “Edilminniti”, che si sono però materialmente aggiudicate il lavoro solo dopo che la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha confermato la precedente decisione dei giudici amministrativi.

Affidato nel marzo del 2010, l’appalto – che prevedeva un esborso di 18.031.862 euro, per la realizzazione delle infrastrutture, comprensive di arredi e per la fornitura di costose apparecchiature biomedicali – è stato ultimato e collaudato nel dicembre 2011 ma non è mai entrato in funzione. Le ragioni, secondo la Guardia di finanza, «sono da ricercarsi anche nell’impossibilità – scaturita dal Piano di rientro dal disavanzo della spesa sanitaria – di assumere personale medico e paramedico specializzato». Per il Centro la sanità pubblica sta ancora pagando un leasing da 18 rate da oltre mezzo milione di euro l’una, oltre alle spese per la manutenzione onerosa dei macchinari. Un danno consistente per la sanità pubblica, di cui i sei funzionari, che dal 2006 a oggi si sono avvicendati alla guida degli ospedali Riuniti, potrebbero essere chiamati a rispondere. 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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