Condanne confermate e alcune rideterminazioni delle pene. Anche la Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato la tenuta dell’impianto accusatorio costruito dal pm Vincenzo Luberto (oggi procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro) nell’ambito del procedimento “Arberia”, scaturito da un’inchiesta che punta a fare luce su quattro omicidi avvenuti nella Sibaritide alla fine degli anni 90. La Suprema Corte, oggi, ha annullato la sentenza per Nicola Acri relativamente ai capi 1, 2, 3 e per Francesco Abbruzzese per i capi 10, 11, 12. E ha rinviato per nuovo giudizio – in ordine a tali reati e a trattamento sanzionatorio – ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Rigetta, invece, nel resto i ricorsi di Acri e Abbruzzese. Dichiara inammissibili i ricorsi di Franco Bevilacqua, di Antonio Di Dieco e Cosimo Scaglione che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di mille euro.
La Corte d’Appello aveva condannato all’ergastolo Francesco Abbruzzese (difeso dall’avvocato Antonio Sanvito) e Nicola Acri, confermando il verdetto di primo grado. Pena dimezzata, invece, per Francesco Di Dieco, che assieme agli altri due boss era tra i principali imputati nel processo “Arberia”. Si tratta, secondo i magistrati, di delitti compiuti nell’ambito della faida tra il clan di Cassano allo Jonio – guidato da Abbruzzese e alleato con la ‘ndrina di Rossano, capeggiata da Acri, e con quella del Pollino, retta da Di Dieco – e la cosca dei Portoraro, a cui secondo gli inquirenti appartenevano le vittime. Per Di Dieco, che si era pentito nel 2003 e che poi è stato sospettato di aver continuato a delinquere, i giudici hanno deciso un rilevante sconto di pena: a fronte della condanna in primo grado a 28 anni – il pm aveva chiesto anche per lui l’ergastolo – in appello gli sono stati inflitti 13 anni di reclusione. A 18 e 12 anni, invece, erano stati condannati altri due collaboratori di giustizia, Cosimo Scaglione e Franco Bevilacqua. I quattro delitti al centro del processo riguardano tre omicidi (Giovanbattista Atene, Antonio Forastefano e Giuseppe Romeo) e un tentato omicidio (Antonello Esposito).
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