I reperti di Capo Colonna “respireranno” almeno per un quarto, o almeno questo è quanto si evince dalla risposta giunta dal ministero dei Beni e delle attività culturali di Dario Franceschini. Una “concessione” del dicastero che arriva dopo i mesi di lavoro intenso di comitati e associazioni, ma, a ben guardare, un contentino: il contestato sagrato-parcheggio con tanto di pavimentazione in cotto si farà eccome, e poco importa, in quest’ottica, che la doppia fila di colonnato sarà lasciata scoperta. Che, poi, questa rappresenti la soluzione migliore per quello che rimane dell’edificio principale del foro, è tutto da discutere. Non solo: Casa Sculco, l’edificio di rilevanza storica che fa parte del sito, sarà comunque interessato da lavori di rifacimento – che secondo i ben informati non terranno conto proprio dell’importanza storico-artistica dell’immobile – tant’è che le associazioni “Gettini di Vitalba” e “Sette soli” hanno organizzato in questi giorni una visita guidata per mostrare – e documentare in futuro – come l’architettura della seconda metà del ‘700 si presentasse prima dei lavori che dovrebbero partire a maggio.
Ad alimentare il clima di incertezza, poi, arriva proprio la risposta di Franceschini, novello Godot: anche lui, come il “personaggio” di Beckett, ha mandato degli emissari, che hanno scritto, esaminato e valutato per lasciare, alla fine, tutto immutato. Non spetta a loro decidere e, sorpresa, non spetta neppure a Franceschini, che si sente chiamato in causa almeno quanto lo sarebbe «per il restauro di un quadro antico». Riepilogando: dopo i palleggi tra soprintendenza e amministrazione comunale, il campo si è allargato ai tecnici e al ministro che, alla fine, con una schiacciata vigorosa – unico gesto di baldanza che gli si può accordare in questa vicenda – ha gettato la palla in mare, cioè in un punto vicino a quell’erosione costiera che si dà il suo bel da fare per mettere in pericolo il sito, e che si conta di fronteggiare intervenendo su parte del costone. Infatti, a ben guardare, di interventi a Capo Colonna ce n’erano da fare eccome. Di mirati, urgenti e, di sicuro, a costi molto più contenuti rispetto ai polposi due milioni e mezzo che serviranno a “pavimentare”, a cancellare la memoria di un immobile storico senza definirne – o almeno questo è quello che lamentano i sodalizi – la destinazione, e a realizzare una tettoia che forse avrebbe fatto la sua bella figura di fronte a un museo di arte contemporanea, ma che poco sembra avere da spartire con un sito archeologico.
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