VIBO VALENTIA Il Pd ha scelto l’unico capoluogo di provincia interessato dalla tornata elettorale delle amministrative per tentare di serrare i ranghi e cominciare ad affrontare criticità e contraddizioni che, da Catanzaro a Roma, continuano a produrre fibrillazioni interne e tatticismi esasperati. Lo stato maggiore dei dem calabresi si è riunito oggi a Vibo in un’assemblea regionale – ospitata nelle eleganti stanze del 501 Hotel – scivolata via in poco meno di due ore con un dibattito non proprio scoppiettante.
A fare gli onori di casa Michele Mirabello, che oltre a essere consigliere regionale è anche segretario della Federazione provinciale vibonese. Non nasconde le difficoltà, Mirabello, e invoca chiaramente «una maggiore organizzazione interna sui territori e un maggiore supporto all’azione del governo regionale». Sulla questione dei segretari provinciali incompatibili, che lo riguarda anche in prima persona, il consigliere regionale chiarisce che la scelta di rimanere in carica anche nella fase della formazione delle liste per le amministrative «è stata condivisa con la segreteria nazionale» e che ora – presumibilmente dopo il voto – si può lavorare per «rimuovere le incompatibilità e dare vita ai congressi provinciali».
Il messaggio, ribadito poi anche da Brunello Censore, è che Vibo «sta al centro dell’agenda politica del Pd calabrese», ma per il deputato di Serra San Bruno, già bersaniano di ferro, c’è anche da spiegare il voto favorevole sull’Italicum. L’esordio è tutto politichese: «Non sono diventato renziano, ho votato con molta sofferenza ma con senso di responsabilità. Non vedevo di buon occhio il fatto che Renzi avesse posto la fiducia, ma non votarla sarebbe stata una scelta autolesionista».
Da qui a tessere le lodi delle «importanti riforme» varate da governo Renzi, Jobs act compreso, il passo è breve, e Censore sembra affrontarlo senza particolari patemi d’animo.
Il dibattito prosegue con gli interventi di alcuni aspiranti sindaci del Pd impegnati in difficili realtà territoriali. C’è Aldo Alessio, che rivendica la centralità mediterranea della sua Gioia Tauro, «la porta della Calabria», e c’è Pino Belcastro, che attacca la «destra becera» che ha governato la “rossa” San Giovanni in Fiore «permettendo che Scopelliti chiudesse l’ospedale».
Sulla sanità, annuncia inoltre il candidato del centro silano, «non faremo sconti a nessuno, e in questa battaglia vogliamo l’aiuto di tutto il Pd». Al microfono si alternano altri aspiranti sindaci appassionati, come Mimmo Lo Polito (Castrovillari), Lucia Spagnolo (Pazzano) e Pino Morello (Limbadi), che ha ricordato la necessità di avere vicino tutto il partito in una sfida «di democrazia e di legalità» che risulta decisiva perché giocata nel paese che è roccaforte di una delle cosca di ‘ndrangheta più potenti d’Europa. Una «mozione d’ordine» per Lamezia è arrivata da Pino Soriero, che da ormai ex commissario del Pd cittadino ha chiesto, lasciando intendere scenari non proprio chiari, che «la campagna elettorale non sia di facciata».
Orfana di Mario Oliverio, impegnato in una riunione sui fondi comunitari, l’assemblea ha poi ascoltato il breve intervento del vicepresidente della giunta, Enzo Ciconte, che ha spiegato che la Regione, in materia di sanità, si sta impegnando «affinché i territori non subiscano tagli indiscriminati».
Qualche bordata è arrivata dall’aspirante primo cittadino sostenuto dal Pd vibonese, Antonio Lo Schiavo, che – pur senza nominarlo – ha definito «inaccettabile» che uno dei suoi competitor delle primarie, l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, oggi stia assicurando sostegno e candidati a un suo avversario. Ma l’unico vero sussulto all’assemblea lo regala una militante di Siderno, Maria Grazia Messineo, che ha sferzato il partito per essersi «appiattito sul candidato di Centro democratico (Fuda, ndr)», rinunciando a una propria candidatura in una città in cui ‘ndrangheta e massoneria continuano ad avere un ruolo di primo piano.
Stesso discorso Messineo lo dedica a Platì: a questo proposito, l’iniziativa del Pd calabrese «è tardiva», perché «c’era gente che voleva fare politica in un circolo di partito, che ancora non esiste».
Prova a risponderle Ernesto Magorno in chiusura dei lavori, annunciando che il 2 giugno il Pd calabrese si ritroverà proprio a Platì per celebrare lì la festa della Repubblica. Per il resto, quello del segretario regionale è un intervento tutto incentrato sulla necessità di unità nel partito e sull’azione del governo regionale: «Quello di Mario Oliverio non è un governo amico, è il nostro governo».
Sull’Italicum, Magorno rivendica il voto favorevole ma chiarisce di non avere paura delle preferenze e si riserva una stoccata: «Alle elezioni dovevo essere quarto e risultai ottavo in lista, proprio per fare spazio a qualcuno che poi non ha votato la fiducia…». Nel Pd, tuona il segretario regionale, «non ci sono renziani e cuperliani, il Pd è la casa di tutti». Quando scoccano le 20, però, ognuno torna nella propria, di casa: gioca la Juve, e le elezioni (come un Pd unito e strutturato nei territori) sembrano ancora un traguardo lontano.
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
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