Esiste un problema calabrese all’interno della questione meridionale? Secondo molti osservatori esiste un sud nel Sud! Ma perché in questo estremo lembo dello Stivale i problemi sono più accentuati rispetto al resto del Mezzogiorno, area da sempre con il più basso livello di sviluppo economico e con la più degradata coesione sociale dell’idea di comunità?
La Calabria è una realtà sulla cui identità, purtroppo, si gioca la più lenta evoluzione della vita civile. Su questo territorio tutto è più difficile da realizzare; è il risultato non solo della diffidenza, ma anche della ostilità per come ha dimostrato in passato la propaganda di movimenti come la Lega Nord, almeno fino a quando ha pensato che questa regione fosse abitata da allocchi o da persone con la memoria corta che non si ricordano più degli improperi e degli insulti che ci hanno fatto solo qualche anno prima.
Ciò dovrebbe servire a destare le coscienze e a capire che, se non si vuole far morire la Calabria, i calabresi debbono cambiare passo. Non è più tempo di promesse, di ammiccamenti, di clientela. La storia dimostra che questi sistemi non sono mai serviti a dare benessere alle popolazioni e, sicuramente, non ne daranno neanche in futuro, se non a quei galoppini che sono riusciti a barattare i nostri voti per i loro personali affari.
Serve accelerare al massimo il processo di consapevolezza dei nostri diritti, assimilando fino alla nausea il principio che nessuno è disposto a regalarci nulla, che tutto deve essere conquistato con sacrifici e che quel poco che ci viene elargito è perché ci è dovuto. Così, attraverso queste certezze, sarà possibile capire per intero quanto grande sia il divario tra il Sud e il resto del Paese, ma anche a darci una spiegazione di cosa sia la cosiddetta politica del doppio binario che ci ha sempre penalizzati e continua ancora oggi a demarcare il ruolo di subalternità che ci è stato riservato come se l’Italia fosse divisa in strutture gerarchiche in cui una parte della sua popolazione deve vivere una situazione di subalternità.
Siamo in presenza di una responsabilità che investe direttamente tutta la classe dirigente cui spettano le decisioni riguardo la linea politica ed economica del Paese. E non ci riferiamo solamente a quella nazionale, culturalmente propensa a favorire le aree del Nord, ma anche ai politici della Calabria che, fatte salve alcune eccezioni, non hanno mai fatto sentire la loro voce per contrastare tanta arroganza.
I cosiddetti rappresentanti del popolo hanno sicuramente le loro responsabilità, tuttavia riteniamo che al primo posto ci siano i calabresi, quel popolo che, forse per eccesso di sfiducia, si dimostra apatico nell’assumersi la responsabilità per un cambiamento epocale. Eppure sarebbe necessario avviare un serio processo di mutazione dentro il quale ci sia anche la presa di coscienza dei danni che produce al territorio la presenza del fenomeno mafioso. Prima si riesce ad estirpare questa pianta parassita e prima ci saremo spogliati di quegli abiti intrisi di considerazioni, a volte anche strumentali, che identificano la Calabria come territorio di mafia. Bisogna pretendere dallo Stato urgenti e definitive misure per una seria lotta al malaffare. Ristabilire la legalità significa cominciare a pensare allo sviluppo economico e sociale della regione. Attualmente non c’è rapporto tra la crescita sociale e quella della ‘ndrangheta proprio per le qualità raggiunte dalle cosche e per le loro capacità pervasive. Ma ciò non significa che non si possano combattere e sconfiggere. Basta cominciare con l’incrementare la lotta alla corruzione che anche in Calabria determina alcuni punti di Pil.
Si riuscirà? L’arma dei cittadini potrebbe essere il voto da destinare a coloro che lo meritano, a chi offre garanzie di cultura e capacità amministrative, a chi ha le capacità. Così facendo si potrebbe determinare una vera rivoluzione nel sistema rappresentativo. Si cominci, per esempio, a sollecitare le amministrazioni locali per un loro impegno fattivo nello svolgimento del mandato, garantendo l’efficienza dei servizi essenziali, ma anche per le piccole cose: la pulizia delle strade, le buche nell’asfalto, il parcheggio selvaggio, i collegamenti pubblici, i rumori eccessivi tanto per citare i più frequenti.
La Calabria è un concentrato di bellezze naturali ma nonostante ciò il turismo stenta a decollare. Non si fanno studi di settore seri, la programmazione diventa eresia; spesso si organizzano inutili convegni che servono solo da passerella per qualcuno. Non si fanno controlli: i venditori abusivi aumentano e cresce anche l’accattonaggio nonostante i proclami di qualche amministrazione comunale. Negli ultimi anni, ad esempio, sono proliferati lungo le coste gli stabilimenti balneari che diffondono musica in ogni ora del giorno e fino a tarda notte. Si cominci a regolamentare il settore stando attenti che gli esercenti non diventino arbitri incontrastati dei loro interessi a cominciare dal rispetto della quiete delle persone che portano in quei territori benessere e che vorrebbero avere garantita una vacanza serena.
*giornalista
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