REGGIO CALABRIA Si conclude con nove condanne e due assoluzioni il processo “Cavallo di ritorno”, che alla sbarra ha visto i componenti della banda specializzata nel furto di auto e moto, seguito dalla pretesa di una somma per la loro restituzione. Fatta eccezione per Carlo Morello e Massimo Bevilacqua, assolti da ogni accusa a loro carico, i componenti della banda criminale sono stati tutti condannati dal gup a pene che vanno dai 5 anni e 2 mesi a 2 anni per furto, estorsione e ricettazione. Nei confronti di tutti è invece caduta l’accusa di associazione a delinquere contestata dal pm Giovanni Calamita. La pena più alta va a Francesco Morelli, Patrizio Bevilacqua e Andrea Bevilacqua, tutti condannati a 5 anni, 2 mesi e 20 giorni più 4mila euro di multa, mentre è di 4 anni e 8 mesi più 4mila euro di multa la condanna decisa per Antonio Bevilacqua e Cosimo Berlingeri. Stessa sanzione pecuniaria, ma condanna più lieve – 4 anni – è andata invece a Gianluca Berlingeri, mentre è di 3 anni e 4 mesi più 3mila euro di multa la pena inflitta a Vittorio Morelli. Per Alessandro Bevilacqua il gup ha deciso una condanna a 3 anni e 4 mesi più 2mila euro di multa, mentre dovrà scontare 2 anni e pagare 3mila euro di multa Domenico Berlingeri. Stando a quanto emerso dall’indagine, il gruppo aveva un modus operandi consolidato. «Questi uomini – aveva spiegato il procuratore Cafiero de Raho che si presentano come “gli zingari di Ciccarello”, sottraggono un’autovettura, quindi grazie ai documenti del veicolo risalgono all’identità del proprietario, lo contattano usando sempre le stesse due cabine telefoniche, chiedendo denaro in cambio della restituzione dell’auto». Ormai prassi consolidata erano anche le fasi successive. Nel corso della conversazione – durante la quale veniva dato a intendere che la macchina fosse stata sottratta da altri, ma dietro pagamento sarebbe stato possibile recuperarla – il “telefonista” di turno dava appuntamento alla vittima proprio a Ciccarello per la consegna del denaro e la restituzione dell’auto. Un «meccanismo collaudato» per investigatori e inquirenti, reso possibile anche dalla presenza di diversi soggetti, perfettamente a conoscenza dell’attività criminale, che aspettavano la vittima nel luogo indicato, facendo da «centro di raccordo con un apparato di persone funzionante per la realizzazione delle finalità estorsive». Tutte persone individuate sia con operazioni di intercettazione delle conversazioni telefoniche e di videosorveglianza, sia grazie al riconoscimento vocale effettuato dagli operatori di polizia, dopo oltre due anni di indagini, in grado di specificare ruoli e compiti di ognuno dei soggetti monitorati. Di certo, non hanno potuto contare sulla testimonianza delle vittime di furti ed estorsioni, trinceratisi quasi tutti dietro un muro di omertà.
a. c.
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