LAMEZIA TERME «L’ho sentito poco fa mentre ero in taxi. Non posso dire che sia contento, perché in questi casi non si può mai essere pienamente contenti e felici, ma era soddisfatto. Sono due anni – prosegue don Marcello Cozzi, membro della segreteria nazionale di Libera e presidente della fondazione antiusura “Interesse uomo” – che seguiamo l’imprenditore», titolare di una ditta di produzioni grafiche e tipografiche a Gioiosa, che con le sue denunce ha dato il via alle indagini che giovedì mattina hanno portato al fermo di 34 persone per usura nel territorio della Locride. Coinvolti sono uomini dei clan Ursino-Macrì, Jerinò, Rumbo-Galea-Figliomeni, Bruzzese, Mazzaferro.
«È lo Stato che dà una risposta, è lo Stato che si fa sentire vicino», dice don Marcello ai microfoni del “Tg2 Insieme” che tratta il tema “No al pizzo: il prezzo del coraggio”. In collegamento dagli studi Rai di Cosenza c’è Tiberio Bentivoglio. L’imprenditore reggino affronta una delle sue prime uscite pubbliche dopo che lo scorso 29 febbraio un incendio doloso ha distrutto il suo magazzino. Ha il volto stanco, il testimone di giustizia, la voce fiacca, ma le sue parole sono decise, continuano a lottare contro il racket: «La mia ribellione nasce nell’anno delle stragi in Sicilia, il 1992. Il mio “no” alla ‘ndrangheta mi è costato caro ma andava fatto senza se e senza ma, non si doveva e non si poteva dare a “loro” il frutto dei nostri sacrifici. E quindi abbiamo deciso di ribellarci, di cacciarli».
Dopo l’ultima intimidazione, un incendio che rischia di mettere in ginocchio la sua attività, la popolazione di Reggio ha manifestato davanti al suo magazzino. Lui non c’era «perché stavo molto male ed ero rimasto a casa con la mia famiglia», dice, però quella folla «questa volta è stata una sorpresa gradevole. Ho visto la vicinanza della gente, ho visto la città che mi piace, quella pronta, quella concreta, quella vera. Ho visto anche le istituzioni a fianco a me come non era mai successo. Ho visto la prontezza delle forze dell’ordine, della magistratura, del prefetto di Reggio Calabria». Bentivoglio ricorda il sindaco, «questo ragazzo» che «è salito proprio su uno di quei mobili bruciati e ha gridato». «Mi è piaciuto quel mettersi insieme, quella tanta gente che ha tanta voglia di fare un cambiamento – racconta l’imprenditore –. Si sono stancati tutti, veramente tutti, di sentire puzza di bruciato e bombe durante la notte che fanno saltare i negozi. Questo è un momento molto favorevole. Sono contento speriamo che si cavalchi questo momento e che finalmente, insieme, compatti sempre di più, riusciamo a fare questo cambiamento».
Tiberio Bentivoglio e don Marcello Cozzi si conoscono da tempo, tanto che il sacerdote non esita a dire: «Tiberio non è un eroe, è un cittadino, un commerciante che a un certo punto si è stancato e, come tutti i cittadini dovrebbero fare, ha denunciato. Per fortuna non è solamente Tiberio. In questo momento, per restare in Calabria, ci sono davvero tanti imprenditori, commercianti, che si stanno ribellando ma un po’ in tutta la regione». Non solo nella Locride ma anche, per esempio, nella zona di Catanzaro, «nella quale in questi ultimi tempi ci sono davvero tantissime operazioni e io non riesco più nemmeno a ricordare i nomi, per dire quanti ormai ce ne sono, di imprenditori che noi stiamo accompagnando alla denuncia e che stanno avendo delle risposte dallo Stato. Ecco, questo per dire semplicemente che quando lo Stato, la collettività, la società civile, ci sono allora le persone denunciano perché non si sentono sole».
Il compito degli sportelli di Libera è proprio quello di accompagnare le vittime, non farle sentire sole: «L’accompagnamento per noi non è solo raccogliere le prime confidenze, quindi accompagnare alla denuncia e lasciare nelle nelle mani degli inquirenti. Per noi l’accompagnamento è anche nel dopo, per esempio nei processi dove magari ci costituiamo parte civile oppure vi partecipiamo fisicamente».
È di questi giorni la condanna di sei persone nel processo “Insomnia”, nato grazie alla denuncia dell’imprenditore vibonese Giuseppe Baroni, «un processo per usura – ricorda don Marcello – con il pm Camillo Falvo. Sono state condannate sei persone, uno con l’aggravante del metodo mafioso perché legato ai Bellocco di Rosarno». Presente negli studi del Tg2 anche Maria Luigia Spinelli, sostituto procuratore di Latina, componente della commissione Gratteri che si è occupata anche di beni confiscati alla mafia. È importante, ha detto Spinelli, «restituire i beni alla collettività e ridare credibilità allo Stato. Sradicare il messaggio che è la mafia che dà lavoro e non lo Stato».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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