Ma sì, raccomandiamola una letturina leggera per questa ennesima Pasqua di tribolazione politica in Calabria. Poche paginette, non particolarmente impegnative ma che potrebbero aiutare qualche risveglio di coscienza ovvero qualche recupero di memoria, in una terra che il “vizio” della memoria non lo ha mai coltivato.
ISTRUZIONI PER L’USO Poche paginette che Giacomo Mancini (quello autentico) aveva scritto e fatto scrivere esattamente venti anni addietro ma che sembrano pensate appena questa mattina. Protagonisti e interpreti: la ‘ndrangheta, la malapolitica, l’impostura di sinistra e poi i soliti capi-bastone che manovrano liste e candidature a Cosenza e dintorni badando ad eternare un potere clientelare che ammorba e uccide ogni speranza.
Le rilegga queste paginette Ernesto Magorno, che a quel Mancini fu legato in maniera seria. Le rilegga Maria Rosaria Bindi detta Rosy, incapace di capire, pur restando indiscussa la sua onestà intellettuale, che la ‘ndrangheta è una cosa seria. Gli diano un’cchiata anche i magistrati della Dda di Catanzaro che hanno lavorato sodo in questi mesi, attorno a Rende e attorno a Cosenza. A loro va la gratitudine di chi aspetta che i fatti gli diano ragione. A due in particolare, Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni, va riconosciuto di incarnare quotidianamente il monito lanciato da John Kennedy: «Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che sian o le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana».
Lungo, invece, è l’elenco di quanti faranno meglio ad ignorare questa riproposizione dell’analisi di Giacomo Mancini sulle vicende amministrative cosentine e sul ruolo giocato dai poteri criminali attorno ad esse. Non le leggano, innanzitutto, gli eredi del vecchio Leone. Cambiano idee e frequentazioni con lo stesso ritmo e la stessa disinvltura con le quali Liz Taylor cambiava mariti e vestiti. Del resto, ammoniva il cinico Montanelli, i figli uno non li fa con il cervello ma con un’altra cosa…
CORREVA L’ANNO 1996 Pensandoci bene sono passati venti anni eppure i fatti narrati sono ancora vivi e vividi. Rappresentano il vissuto di una Calabria che sulla via dello sviluppo (mancato) ha trovato sbarramenti strani, personaggi singolari, circostanzi grottesche e al tempo stesso inquietanti. Chi narra è Giacomo Mancini, leader di una sinistra inquieta e, allora come ora, cattiva con se stessa. Il narrato dell’anziano esponente socialista non è tratto da una intervista, né da un’autobiografia e neanche dai resoconti di un’aula parlamentare o dagli atti di un convegno politico. Mancini parla in un’aula di Tribunale ed il consenso che cerca è quello di un Tribunale davanti al quale è stato trascinato con l’infamante accusa di associazione mafiosa.
Sappiamo come finì la storia: assoluzione piena e totale, ma quei verbali giudiziari sono rimasti, a distanza di dieci anni, inediti eppure varrebbe la pena di rileggerli, specialmente oggi, alla vigilia di una tornata elettorale difficile ed avventurosa con la Calabria sempre alle prese con la ricerca di una “via dello sviluppo” piena di trabocchetti e di incertezze. Parla per ore Mancini e dice cose devastanti per il mondo della politica ma nessuno se ne curò allora e, probabilmente, nessuno se ne curerà neanche oggi. La Calabria metabolizza tutto e in fretta. Ma un tentativo di recupero della memoria va comunque fatto, partendo proprio da quel 17 gennaio del 1996 quando «l’imputato Giacomo Mancini» ripercorreva, sin dal 1943, le tappe più importanti della sua lunga vita politica: l’ininterrotta militanza nel partito socialista italiano, di cui per un breve periodo era stato financo segretario; le 10 legislature consecutive che lo videro deputato; gli incarichi governativi di Ministro dei Lavori pubblici, della Cassa per il Mezzogiorno e della Sanità. Ricordava, tra gli interventi più significativi intrapresi durante la sua azione di governo, l’introduzione del vaccino Sabin, la lotta contro la speculazione edilizia della Valle dei Templi di Agrigento, la legge ponte del 1967, la costruzione dell’autostrada del Sole.
I MOTI DI REGGIO Parlò anche dei moti per Reggio capoluogo, inserendo per la prima volta in un’aula di tribunale, il ruolo svoltovi dalla ‘ndrangheta: «…gli amici dei De Stefano non osteggiarono la rivolta di Reggio Calabria, ci fu una grande “Union Sacrait” dove la gente in buona fede c’è stata dentro e pagò… più degli altri perché dopo i fatti di Reggio Calabria non è avvenuto niente, Reggio non ebbe niente…». E dopo Reggio la sua battaglia contro la costruzione a Gioia Tauro della centrale Enel, un maxi-cantiere «inquinato ancor prima che inquinante, dove erano visibili le collusioni tra i vertici della società e le famiglie mafiose della piana». In merito Mancini rivendica: «… facemmo venire alla commissione antimafia il presidente Viezzioli; io ho detto “guardate che a Gioia Tauro le ditte che lavorano e che l’Enel ha chiamato a Gioia Tauro sono ditte mafiose o para-mafiose e in ogni caso l’Enel ha usato nei loro confronti trattamenti che non possono essere usati”, perché ha sconvolto la legislazione».
Andò giù duro Mancini: «L’ho detto io e basta, nessuno l’ha detto; il mio partito mi ha messo all’indice per avere solidarizzato con il Procuratore della Repubblica di Palmi che era su questa stessa linea, ma insomma, mi dispiace dirlo, ma ci sono state delle infiltrazioni anche nel sindacato e il sindacato è sceso in lotta non perché voleva il porto containers, anzi non ne parlavano proprio, non conoscevano nemmeno la possibilità che esisteva la possibilità di un porto di questo tipo di cui oggi si menano vanto. Hanno assaltato il Comune di Gioia Tauro perché non si dava lavoro alle ditte mafiose, sono successi questi fatti, io li ho denunciati in televisione, alla stampa, all’antimafia… e questo non conta niente? È un trucco? È una manovra? Ma è possibile che così vadano le cose? Io su questa questione di Gioia Tauro gli ultimi anni della mia vita politica li ho centrati proprio… essendo membro della commissione Antimafia, su questa storia di Gioia Tauro in cui ho ragione, ho avuto ragione quando dissi che era bene fare uno stabilimento a Gioia, e ho avuto ragione anche quando ho detto, nel momento in cui tramontava il quinto centro siderurgico, ho detto: “Il porto teniamolo, perché il porto può essere una ricchezza per queste zone, bonificate dalle presenze mafiose”.»
LE PRIMARIE ANTE-LITTERAM L’aula divenne silente e ghiacciata quando il leone ferito svelò i retroscena della sua ultima candidatura come parlamentare: «… nel ’92 non volevo essere candidato, avevo pensato già da tempo di… che la mia, come dire, attività politica si potesse benissimo, tranquillamente concludere con 10 legislature, avvenne però un fatto clamoroso sul piano giudiziario per iniziativa del procuratore della Repubblica Cordova che mise sotto accusa una notevole parte del partito socialista e ci furono allora molte incertezze: “Chi mettiamo in lista, chi sarà il capolista?”. E cercarono in giro di trovare… non ci fu… non trovarono, come dire, un capolista esterno e a quel momento, stranamente, la storia si è rovesciata, lo stesso Craxi che mi aveva cacciato… voleva cacciarmi via nell’83, mi disse di capeggiare questa lista essendo stato io il solo tra i parlamentari che non ero stato indicato… io dissi di si e feci come si fa in questi casi, delle con
dizioni che furono subito accettate, dissi a Craxi che doveva allontanare subito dalla Regione il suo commissario, perché da tre o quattro anni eravamo commissariati, c’era un deputato di Torino che faceva il bello e il cattivo tempo; Craxi naturalmente promise subito, fece esattamente, poi, il contrario e poi cominciò la campagna elettorale in cui il commissario che doveva essere cacciato c’era, i deputati che… e io non avevo difeso c’erano pure, ci fu questa bella coalizione, c’era… non si votava più per quattro preferenze, si votava per una preferenza unica ed io fui eliminato; poi uno degli argomenti che fu molto usato nei miei confronti era quello che io avevo dato ragione a Claudio Martelli e al ministero dell’Interno… Scotti, diedi ragione… avevo dato ragione per lo scioglimento di qualche consiglio comunale tra i quali in particolare il consiglio comunale di Lametia Terme dove c’era una forte presenza socialista, però c’era pure una fortissima presenza mafiosa e io dissi che era giusto sciogliere: apriti cielo! Fecero in un teatro locale un non stop, così si dice, non tanto contro il provvedimento soltanto, ma contro il traditore, perché poi i linguaggi sono questi, contro il traditore che anziché essere solidale con il suo partito, era solidale con il provvedimento del ministro dell’Interno e del ministro di Grazia e giustizia… poi non avendo grandi fondi a disposizione sono stato… e forse me la sono pure meritata per non avere valutato meglio prima le cose, sono stato… mi fu impedito di arrivare all’undicesima legislatura, che mi avrebbe fatto diventare, insomma, il leader degli eletti negli anni, questo è il ’92 …».
L’ABBRACCIO CON I POST-COMUNISTI Un capitolo a parte Mancini lo dedicò al suo tormentato rapporto con i comunisti e i post-comunisti. Lo fece muovendo dalla sua candidatura a sindaco di Cosenza nel 1993. «… dovevo essere il candidato con la sinistra, io con la sinistra ho sempre avuto un rapporto, come dire, polemico ma di grande correttezza, soprattutto per una serie di dirigenti calabresi e no, che sono persone tutte rispettabili e con le quali mi sono intrattenuto e mi intrattengo con reciproca stima … i comunisti locali, devo dire, malgrado ci fosse anche questa notizia del mio possibile arresto insistettero perché io… allora io di fronte a questa insistenza ho cambiato e ho detto: “va beh, sono disponibile, però le cose poi non andarono così perché i comunisti locali che avevano avuto via libera da parte dei loro, come dire, superiori cambiarono parere, mi vennero a dire: “No, non puoi più essere…”, eh “Niente di male” ho detto io, e allora mi venne, non questa balzana idea, che era abbastanza meditata, io sapevo quale era la situazione di crisi dei partiti tradizionali e ho fatto questa lista che si chiama… si chiamava “Cosenza Domani”, con una bussola alla quale poi aderì successivamente un’altra lista che si chiama … “Lista per Cosenza”…».
Già, i “comunisti locali”. Venti anni dopo sono ancora quelli… ma stavolta non si ritrovano tra i piedi un Giacomo Mancini in versione originale.
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