Tutto si potrà dire su Marcello Cammera, il potente dominus amministrativo dei lavori pubblici del Comune di Reggio Calabria, ma non che fosse un millantatore. È questa la verità più scabrosa, e politicamente grave, che consegna l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria “Reghion”. Non millantava quando assumeva di poter disporre liberamente degli uffici comunali sottraendo il suo operato a ogni controllo; non millantava quando, da responsabile unico del procedimento, si impegnava a far vincere la ditta prescelta dal “comitato d’affari”; non millantava quando chiariva che la sua posizione sarebbe passata indenne dalle maglie della Commissione antimafia, nonostante i verbali di fuoco redatti dalla commissione d’accesso. Purtroppo, non millantava neppure quando, tornato il centrosinistra alla guida del Comune di Reggio Calabria, assicurava i suoi sodali sul fatto che il sindaco Giuseppe Falcomatà e la sua giunta “di novellini” non avrebbe mai osato intaccare il suo potere sulle opere pubbliche cittadine.
Dalle carte, e dalle intercettazioni, arriva un riscontro diretto quanto imbarazzante: all’apice dello scontro tra Marcello Cammera e l’assessore ai Lavori pubblici Angela Marcianò, quando quest’ultima chiede di allontanare il funzionario accusandolo di nasconderle le carte e di disporre liberamente dei bandi di gara, si arriva a chiedere all’assessore di fare un passo indietro se proprio «non ti riesce di convivere con Cammera».
Ci sarà anche stata la complicità di qualche giornale e di qualche giornalista, ci saranno state le pressioni esterne e i tentativi di imbastire campagne mediatiche, ma la verità che emerge dalle carte dell’inchiesta è che all’assessore Marcianò in quel momento è venuta meno la solidarietà di buona parte della compagine amministrativa, pronta ad accoglierne le dimissioni. Al punto che quattro consiglieri comunali del Pd andranno dal sindaco Falcomatà per dire con chiarezza che l’assessore Marcianò non doveva dimettersi e che avrebbero considerato un grave episodio la sua uscita dalla giunta.
All’assessore Marcianò, a quel punto, effettivamente sarebbe stato chiesto di dimettersi dall’incarico, ma questa avrebbe risposto a muso duro: «Se volete cacciatemi voi». Anche di questo si vanterà, nei dialoghi intercettati, Marcello Cammera. E quando, dopo la prima tranche di indagini che porterà al nuovo arresto di Paolo Romeo e all’accusa di una “cupola” esterna al Comune che ne condizionava le scelte proprio grazie a dirigenti infedeli come Cammera, si disporrà il trasferimento ad altro incarico, gli si consentirà di mantenere le deleghe relative alle opere pubbliche fin lì seguite. Nuova protesta dell’assessore Marcianò e, pochi giorni più tardi, arriva la grave intimidazione con la macchina dell’assessore data alle fiamme. Una mera coincidenza? Lo stabiliranno le indagini che la Direzione distrettuale antimafia sta portando avanti, di certo, però, molte delle solidarietà arrivate in seguito appaiono, alla luce delle carte dell’inchiesta “Reghion” tardive se non addirittura pelose.
Così come tardive pelose appaiono le dichiarazioni della Commissione antimafia che rivendica di aver chiesto e ottenuto l’allontanamento dei dirigenti comunali sospettati di avere consentito e facilitato l’infiltrazione degli interessi mafiosi nella gestione di appalti e acquisti. Rivendica, la Commissione antimafia, e di sponda rivendicano gli amministratori comunali e i dirigenti del Partito democratico, di avere disposto l’allontanamento del segretario comunale. Non dicono però, e nessuno ha pensato di informare di ciò la presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, che al segretario comunale defenestrato venne subito dato un posto ancor più prestigioso come capo del personale presso l’Azienda sanitaria di Reggio Calabria. La nomina fu decisa dall’allora commissario straordinario Santo Gioffrè, imposto dal Pd, nominato e difeso a spada tratta dal presidente della giunta regionale Mario Oliverio, poi decaduto perché la sua nomina era illegittima e venne caducata dal commissario per l’anticorruzione Raffaele Cantone.
Anche in quella occasione le truppe cammellate dell’informazione governativa si diedero da fare per attaccare chi aveva ripristinato la legalità, sostenendo che i poteri forti (sic!) avevano tramato contro il commissario Gioffrè per impedirgli di bonificare l’Asp più sporca d’Europa.
E siamo al solito punto dolente: grande ipocrita plauso della politica per l’opera della magistratura. Ma quando capiterà che la politica faccia quello che è suo compito fare? Chissa se l’interrogativo sarà oggetto del dibattito della grande assemblea regionale che il Pd terrà il 28 e il 29 luglio prossimi. Fino ad allora il soldato Johnny, alias segretario regionale del Pd Magorno, rischia di avere tante e non liete sorprese. Non è colpa sua, lui i “nemici” li ha individuati e catturati… solo che non lo lasciano rientrare alla base.
direttore@corrierecal.it
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