Detto con brutale franchezza, ancorché con estrema mitezza, imparino i nostri concittadini di Melito Porto Salvo che mai come in circostanze come quella che oggi vivono, gli assenti hanno sempre torto.
E assenti eravamo un po’ tutti solo che adesso qualcuno vorrebbe continuare nella sua assenza e provare a giustificarla pure.
Ironicamente Paolo Sorrentino, che non è solo un regista da premio oscar ma anche un sensibile e raffinato scrittore, intitola il suo miglior volume «Hanno tutti ragione». Qui oggi è l’esatto contrario, abbiamo tutti torto. Iniziamo da noi stessi: dov’ero io – che per giunta faccio il direttore nel maggior quotidiano on-line di questa regione – mentre un’intera comunità pur dotata di scuole e istituzioni, persino chiese, pur capace di consumi sofisticati e pienamente collocata in quell’Occidente immaginario che gli agitatori dello scontro di civiltà ci dicono davvero diverso dai mondi cupi dei veli, dei burkini, della misoginia di Stato e di Chiesa, regrediva o forse nemmeno si evolveva – solo ingannevolmente rivestita di modernità – restando posata sul bordo di quel medioevo perenne, invincibile, di cui ha dato prova? Perché non ho capito? Quanto buio infiltra questi nostri paesini pacifici, queste contrade laboriose, questi pii circondari?
Dove eravamo tutti noi che pensiamo di assolvere al nostro dovere civico limitandoci a cliccare un “mi piace” sugli eroismi degli altri?
Dove era, e dove è, il sindacato, la politica, l’informazione, la scuola, la chiesa quando le nostre contrade vengono deturpate dalla ‘ndrangheta? Altro mostro medievale che si nasconde in piena luce, negata da tutti, taciuta da tutti, intenta a farsi i fatti suoi in mezzo a tutti.
Alla fiaccolata si va. Gli assenti hanno torto. Inutile prendersela con i cronisti. Mai come in quelle circostanze sono gli assenti ad avere torto.
Il Pd e la giunta regionale scendono in campo a Melito. Fanno bene, a patto che non finisca come un’altra Platì. Maria Elena Boschi viene a Reggio Calabria per partecipare al Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato dal Prefetto. Fa bene. Lancia un messaggio preciso, perché lei è anche ministro delle Pari opportunità ed è bene che si sappia che la sicurezza si costruisce anche attorno alla parità tra cittadini. Sorgerà a Melito un centro per il contrasto della violenza alle donne, anche questo è un segnale da accogliere con trasversale adesione. A patto che tutto abbia poi un seguito e un radicamento nel territorio. A condizione che larga parte della comunità di Melito non sia soggetto passivo di queste attenzioni mediatiche e istituzionali ma ne diventi protagonista. Ecco perché altre assenze non potranno essere perdonate. Il che non assolve lo Stato dalla sua colpa più grave: il genocidio bianco che sradica dalla Calabria le sue forze migliori e isola quelle sane che vi rimangono.
Negli ultimi dieci anni trecentomila ragazzi e ragazze calabresi hanno fatto la valigia, davvero non potevano impegnare qui le loro intelligenze e la loro caparbietà? I mafiosi sono gli unici a restare saldamente attaccati al territorio. Vuol dire che chi è rimasto a Melito o altrove è mafioso? Assolutamente no, ma altrettanto certamente le difese immunitarie di un corpo sociale piagato, deturpato, stuprato da decenni di giogo mafioso si sono allentate. E chi resta si divide. C’è chi si illude di poter convivere con il “convitato di pietra” seduto a fianco e chi reagisce ma non trova la dovuta solidarietà. Così il cronista che chiama mafiosi i mafiosi deve andar via, quello che definisce “presunto boss” un ergastolano alla quarta condanna definitiva, può restare a casa sua e dire che il problema è il cranio del “brigante” Villella rimasto in mano ai “piemontesi”. Ma di quale dei due generi di cronista hanno veramente bisogno Melito e la Calabria?
C’è il medico che cura i latitanti invocando Ippocrate, ma apprezzando anche il voto di scambio, e quello che rifiuta il certificato “amicale”. Il primo resta e fa eleggere i rampolli, l’altro emigra… e fa carriera. È cosi dentro ogni categoria: preti e vescovi, magistrati e ingegneri, imprenditori e commercianti. E’ così per i nostri ragazzi: c’è la figlia del boss Aquino che va a dare esami su appuntamento, consegna il libretto prende il massimo e non apre bocca. C’è lo sgobbone che studia di giorno e lavora di notte e nessuno lo prende a bordo. La prima male che vada entrerà alla Regione o in qualche ufficio tecnico comunale. Il secondo partirà ancor prima di laurearsi. C’è il primario che elargisce voti e mazzette e c’è la ricercatrice che cura il parkinson, scopre la Nicastrina ed a stento riesce ad avere un laboratorio negli scantinati.
In mezzo un esercito di ignavi che si indignano solo quando la loro ignavia finisce sui giornali e nelle televisioni nazionali.
Lì smettono di essere assenti e diventano protagonisti, invocando visibilità e rispetto.
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