REGGIO CALABRIA Progetti concreti, una rete di prossimità che sia di sostegno a donne e ragazze in difficoltà, da realizzare in breve, con i pochi soldi che ci sono ma spesi bene. È questa la soluzione proposta dal ministro Maria Elena Boschi, arrivata a Reggio Calabria sull’onda del clamore suscitato dalle violenze continuate subite da una ragazzina di tredici anni a Melito. Dal giorno dell’arresto dei responsabili sono passate circa tre settimane, poco meno di una, dall’anoressica fiaccolata di solidarietà organizzata nel paese dell’ormai sedicenne, proprio la sera in cui il ministro era a Reggio per parlare di referendum, ma – dice Boschi a chi le chiede perché solo oggi si sia interessata alla vicenda – «non è il momento di fare polemica. Sono venuta qui per dare un segnale vero, pratico, concreto». Ma anche – spiega – «per dare un segnale forte per rompere il muro del silenzio, perché chi è vittima di violenza sappia che non deve vergognarsi. Devono vergognarsi invece coloro che compiono queste violenze, i responsabili di reati veri e propri».
Un messaggio che arriva al termine di circa tre ore di riunioni in Prefettura, servite al ministro sia per comprendere in dettaglio tutti gli aspetti della vicenda, sia per fare il punto sulla situazione sociale nel territorio. È toccato al procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e al presidente del Tribunale dei minorenni Roberto Di Bella, insieme il questore Raffaele Grassi, al comandante provinciale dei carabinieri colonnello Lorenzo Falferi e al comandante provinciale della Guardia di finanza colonnello Alessandro Barbera, fare il punto sulle indagini che hanno portato a svelare il rosario di abusi subito dalla ragazzina. Una riunione, presieduta dal “padrone di casa”, il prefetto Michele di Bari, cui ha partecipato anche l’arcivescovo di Reggio mons. Giuseppe Fiorini Morosini e che Boschi si limita a commentare sottolineando che «c’è stato un grande lavoro da parte dell’autorità giudiziaria e delle forze dell’ordine per fare emergere questa vicenda».
A seguire il ministro, accompagnato dal sottosegretario di Stato Dorina Bianchi, ha incontrato i rappresentanti istituzionali calabresi – tra cui il presidente della Regione, Oliverio e del Consiglio, Nicola Irto, e il sindaco metropolitano, Giuseppe Falcomatà – e i responsabili di associazioni sociali e culturali attive nel settore, per cercare di comprendere di che anticorpi sociali sia dotato il territorio e quali siano le iniziative istituzionali in programma. Una riunione partecipata e protrattasi oltre l’orario stabilito, ma che sembra essere servita a mettere in piedi un programma d’azione concreto. «Ci siamo impegnati a finanziare al più presto un centro di ascolto nel liceo in studiava Maddalena (nome di fantasia, ndr), in modo che studenti e studentesse abbiano qualcuno qualificato che li ascolti e possa raccogliere eventualmente il loro disagio». La scuola – spiega Boschi – è il punto da cui partire sia per la prevenzione, sia per il recupero delle più giovani vittime di violenza, come per gli adulti è il mondo del lavoro. In più – sottolinea il ministro – «credo che sia importante un lavoro di coordinamento a tutti i livelli istituzionali, come abbiamo fatto, come fa la cabina di regia contro la violenza che abbiamo istituito la scorsa settimana. Con il presidente della regione e coi sindaci ci siamo dati appuntamento periodicamente per confrontarci e cercare di individuare strategie coordinate e condivise». Un lavoro importante – aggiunge Boschi – «che comincia oggi e continua per tanti aspetti sull’educazione al rispetto, alla parità di genere, al rispetto delle donne e al contrasto ad ogni forma di discriminazione e di violenza, che comincia dalle famiglie e dalla scuola soprattutto».
Il ministro ha scelto di non andare a Melito, né – a quanto pare – incontrerà la ragazzina o i suoi genitori, ma su di loro ha invocato un “pietoso silenzio”. «Crediamo – ha spiegato – che debbano spegnersi le luci su Maddalena perché possa riacquistare una normalità che adesso non ha, anche gli organi di informazione hanno fatto un lavoro importante perché non passasse sotto silenzio questa vicenda e potesse essere denunciata e questa ragazza e questa famiglia potesse non sentirsi sola, ma è giusto lasciare a lei la possibilità adesso di riacquistare una normalità». Ma ai media intima «dobbiamo tenere accese le luci, alta l’attenzione non abbassare mai la guardia, sul problema invece della violenza sulle donne, sui maltrattamenti e su evitare che questo possa succedere. Sapendo che ci sono dei responsabili, e che la magistratura – ha concluso – dovrà fare il proprio lavoro e che non farà sconti a nessuno».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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