«Se siete delusi dai vostri rappresentanti eletti, candidatevi voi stessi. Fatevi avanti. Se qualcosa ha bisogno di essere cambiato, rimboccatevi le maniche e datevi da fare per porvi rimedio!». Sono queste, alcune delle parole del lungo discorso che Barack Obama ha rivolto agli americani a qualche giorno dal congedo da presidente degli Stati uniti d’America, la più grande potenza del mondo.
Me lo sono letto tutto e non una sola volta, spinto dalle lacrime che gli sono spontaneamente venute al momento di rivolgere il plauso più sentito alla moglie Michelle e diffuse da tutti social. Volevo capire perché l’uomo più potente del mondo, al momento dell’addio, si fosse messo a piangere. A quel punto ho letto tutto il discorso. Memorabile! Una lezione di stile per i politici di tutto il mondo, stile e umiltà, le caratteristiche, a mio avviso, che deve avere chi si accinga a fare politica. Umiltà, in particolare. Non vanterie. «Ho detto, ho fatto… ». Barack Obama si è detto, altresì del parere, che gli americani abbiano il dovere di credere non nella sua capacità di portare il cambiamento, «ma nella vostra». Dopo aver ricordato di essersi formato nei gruppi parrocchiali, l’ex presidente degli Stati uniti, ha aggiunto di aver imparato che il cambiamento avviene soltanto quando persone del tutto normali si lasciano coinvolgere e si uniscono per pretenderlo. E perché tutti siamo stati creati uguali, dotati dal Creatore di diritti inalienabili, tra cui la vita,la libertà ed il diritto di aspirare alla felicità. Che meraviglia! Chi, in Europa, in Italia od in Calabria sarebbe stato capace di pronunziare simili parole. Non certo ad effetto perché Obama ha chiuso con l’esperienza di presidente e, quindi, non doveva ingraziarsi l’elettorato americano. Da noi, l’umiltà, assai spesso, manca. Latitano concetti come quello del diritto, da parte dei cittadini, di aspirare alla felicità. E vero che si corre da mattina a sera, ma è altrettanto vero che la politica, sovente, si fa per se stessi, mai per gli altri, spesso neanche per il partito, visti i continui cambi di casacca che, in questa legislatura, hanno davvero superato ogni record. Il potere fine a sé stesso. E chi avrebbe mai sostenuto di rimanere sempre al servizio del proprio Paese, da semplice cittadino, per tutti i giorni che gli rimarranno.
Da noi, questo, il più delle volta non avviene. Ci si vuole riciclare, da presidente a ministro, da presidente di Regione ad assessore o sindaco, o a guidare un ente pubblico. Sempre per poter essere in mostra, per non cedere lo scettro del potere e, perché no, guadagnare stipendi e prebende. In pochi si mettono a disposizione del proprio partito o di singoli cittadini, alla guida di associazioni che siano utili a migliorare le condizioni di vita della propria comunità. Accanto al proprio successore, non contro. Le battaglie si vincono insieme.
E se, in Calabria, per esempio, c’è un problema “sanità e servizi sociali” non occorre dire «io avevo fatto tutto, chi è venuto dopo di me ha peggiorato le cose». No, non è così. Non ci può essere lo scaricabarile delle responsabilità. Obama docet. Anche quando ha spezzato un ramo, dall’America, terra di tantissime etnie, in favore degli immigrati. «Se ci rifiuteremo di investire nei figli degli immigrati soltanto perché non hanno il nostro stesso aspetto fisico, limiteremo le prospettive di tutti i nostri figli, perché quei ragazzini di colore saranno la percentuale maggiore della forza lavoro». Detto dal presidente Obama agli americani! E noi non riusciamo ad avviare a soluzione i problemi dei nostri immigrati-pochi- che lasciamo soli ed abbandonati, in tutte le province calabresi e, probabilmente, in tutta Italia.
Il ministro Minniti si è posto concretamente il problema e sta girando dalla Tunisia alla Libia, per trovare risposte comuni a loro dramma. Dobbiamo dire che per noi gli immigrati non esistono, nella migliore delle ipotesi, salvo rare e private eccezioni. Nei ghetti, però, nessuno mette piede, salvo le Charitas, i parroci – alcuni -, Libera e poche altre associazioni umanitarie e di volontariato. E questo perché gli altri,per il colore della pelle, vengono lasciati soli. Mentre noi, da emigrati, pretendevamo ed accampavamo diritti. Quanti non sono gli americani di prima e seconda generazione che non sono rimasti in America? E qui da noi ci sono solo i Lucano, i Nicolini o i Mannoccio e pochi altri. E per gli stessi calabresi? Si vive nella speranza dell’impegno della classe politica che possa avviare almeno parte dei problemi che tutti conosciamo. Ed invece c’è solo il rimpiattino, «l’io sono meglio di te, tu cosa vuoi… ».
Sui giornali e sui social si legge solo l’invito a fare questo o quell’altro, mai che ci siano proposte concrete e di possibile realizzazione. A livello nazionale e calabrese. Se Renzi dice una cosa,nel e per il pd, c’è pronto chi, spesso per partito preso, dichiara il contrario. Tutti per emergere o prendere- è un esempio- il posto di Renzi. Altro che Speranza, che si è messo finanche contro le decisioni della Consulta,pur di assestare un colpettino alla politica del suo partito. Si è mai visto, in Calabria, un leader politico piangere quando, al momento dell’addio, ha inteso ringraziare la propria moglie per la vicinanza che gli ha manifestato nell’assolvimento del suo dovere di Presidente? Le mogli – o le donne-qui da noi, sono sempre in secondo piano, se e quando hanno visibilità. Finanche un «mi hai reso orgoglioso!». L’America è un altro paese, forse un altro pianeta. Umiltà e stile, dunque. L’umiltà perché, diceva Santa Caterina da Siena, spegne la superbia. Lo stile è semplicemente il modo di fare ciò che deve essere fatto. Parole di Ernest Hemingway!
*giornalista
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