I punti di debolezza del settore manifatturiero calabrese che spiegano un certo ritardo strutturale sono ben noti: dimensione media bassa, sottocapitalizzazione, scarsa apertura ai mercati, sia nel senso di ridotta competizione che nel senso di limitatezza dei mercati di sbocco, limiti di carattere organizzativo. Il venire meno nel tempo del ruolo propulsivo della grande industria ha contribuito a indebolire un settore dell’economia nel quale le risorse locali, sia finanziarie che umane, appaiono sostanzialmente asfittiche. Come detto, casi di eccellenza sono presenti ma non sono sicuramente frequenti.
Il contributo che il settore manifatturiero fornisce alle economie locali è cruciale: la dimensione relativa può anche essere limitata, ma i sistemi economici territoriali hanno forte necessità di un robusto comparto manifatturiero. Hanno soprattutto bisogno di quelle esternalità che i sistemi industriali locali, dai semplici addensamenti di imprese ai veri e propri distretti, producono in termini di capacità organizzative, reti di conoscenza, cultura di impresa e di mercato.
Le caratteristiche del sistema produttivo calabrese non impediscono di tentare di rintracciare l’esistenza di un sentiero di sviluppo nella composizione della specializzazione produttiva del settore manifatturiero nel corso degli ultimi decenni.
Ci troviamo di fronte ad un sistema produttivo poco coeso e poco radicato nel contesto sociale. L’essere imprenditore viene appreso sul campo, generalmente in una impresa di tipo familiare che viene continuata dai figli, la manodopera viene selezionata con meccanismi extra-mercato sempre nello stretto giro delle relazioni sociali dell’imprenditore. Non è difficile, soprattutto nei contesti poco sviluppati assistere a colonizzazioni produttive che stravolgono il contesto produttivo e anche sociale di un territorio e rischiano di farlo diventare impermeabile al cambiamento, poco aperto ai mercati esterni, poco capace di investire in capitale umano ed innovazione, in definitiva poco competitivo. La piccola, spesso micro-dimensione delle imprese, è un altro elemento di debolezza di questo quadro. Una micro-dimensione che sicuramente lascia intravedere il tentativo di una miope riduzione dei costi del lavoro per recuperare quella competitività che invece andrebbe cercata con altri strumenti e in particolare investendo in conoscenza, capitale umano e innovazione. Alla luce di queste indagini il sistema produttivo appare come un sistema che ha paura di crescere, ha paura di confrontarsi con il mercato in una perversa “sindrome da “Peter Pan” che impedisce di sfruttare i punti di forza che pure esistono.
Questo dato non può non far riflettere in quanto si spiega con la presenza di un numero significativo di imprese con zero dipendenti. Un’impresa di questo tipo dovrebbe essere una eccezione, mentre in questo contesto territoriale sembra essere una tipologia abbastanza frequente e con ogni probabilità questo tipo di situazione nasconde il ricorso a forme di lavoro irregolare e/o informale.
Un altro elemento significativo è la quasi totale assenza di reti e di sinergie fra le imprese. Un sistema di piccole imprese fortemente integrato può sicuramente essere competitivo. L’esperienza dei distretti industriali è in fondo un’esperienza basata su piccole imprese legate da forti relazioni e organizzate in rete.
Di queste relazioni non vi è traccia nel sistema produttivo territoriale calabrese, per cui anche in presenza di forti specializzazioni di alcuni settori produttivi non emerge nulla che possa far presagire la possibilità di evoluzione di questo insieme di imprese verso forme proto-distrettuali. La capacità di costituire reti e sinergie non è ovviamente innata, ma è frutto di investimenti in capitale umano, in conoscenza condivisa e in reti di fiducia.
La pubblica amministrazione che potrebbe e dovrebbe avere un ruolo fondamentale in nel suscitare la capacità di costituire reti e sinergie, troppo spesso diventa invece un elemento di freno. Una delle maggiori cause che portano ad un abbassamento del livello di fiducia va ricondotto a comportamenti sbagliati, se non qualche volta perversi, della pubblica amministrazione, che alcune volte anziché favorire lo sviluppo si rileva invece come un fattore di freno.
Il recente caso dell’annullamento dei bandi del Por 2014-2020 altro non è che l’esempio più eclatante di come la struttura amministrativa possa rallentare i processi e vanificare le buone intenzioni programmatiche.
Si parla spesso di capacity building, ma se guardiamo alla qualità e alla competenza della struttura burocratica dobbiamo constatare che in questo processo di costruzione delle competenze ancora non siano riusciti a completare nemmeno le fondamenta. La vera rivoluzione in Calabria sarebbe quella di rottamare questa burocrazia, sostituendola con una nuova scelta con criteri meritocratici e sulla base delle competenze. Ma questa rivoluzione, purtroppo, non appartiene al dna della politica nostrana.
*Docente Università Mediterranea
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