CATANZARO «La città di Catanzaro non è un’isola felice». Un’affermazione che è come un sigillo: parole del procuratore aggiunto Vincenzo Luberto nel corso della conferenza stampa dell’operazione interforze “Jonny” che ha disarticolato, con 68 arresti e 16 persone iscritte nel registro degli indagati, la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto e i suoi interessi estesi fino Catanzaro e nelle zone limitrofe. La cosca crotonese è riuscita a intensificare la sua influenza, scrivono i magistrati della Dda di Catanzaro, «attraverso una cellula criminale operante proprio nella città di Catanzaro oltre a far avvertire la sua autorità criminale sulle articolazioni operanti nei territori prossimi al capoluogo e in particolare nella frazione Roccelletta di Borgia e in Vallefiorita». Gli Arena hanno cominciato a fare sentire la propria influenza sul territorio del capoluogo cominciando a diffondere la forza intimidatoria del proprio vincolo associativo nei confronti di commercianti e imprenditori. Gli inquirenti parlano di un «diffuso sistema estorsivo». A delineare meglio i contorni di quanto stava accadendo nella “isola non felice” di Catanzaro sono arrivate nel 2016 le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Mirarchi che aveva preso contatti con la cosca di Isola già nel 2009, nel carcere di Siano dove aveva ricevuto le doti di ’ndrangheta da parte di Vincenzo Manfreda (ritenuto esponente di ’ndrangheta di Mesoraca, paese in provincia di Crotone, ucciso nel 2012). Col tempo, Santo Mirarchi era divenuto il braccio operativo degli Arena. La cosca era riuscita a creare una «capillare rete di sodali», registrano gli uomini della squadra mobile di Catanzaro, ed era riuscita così, «anche fuori provincia, a garantirsi il controllo del territorio e l’acquisizione di proventi, principalmente di natura estorsiva, da molteplici attività commerciali stanziate nel capoluogo calabrese».
IL REFERENTE NICO GIOFFRÈ Santo Mirarchi racconta che già nel 2014 i referenti della cosca di Isola Capo Rizzuto, erano determinata ad esercitare la loro influenza criminale sul capoluogo attraverso gli adepti autoctoni reclutati sul territorio da assoggettare. Gli Arena avevano bisogno di “referenti” e tra questi individuano Nico Gioffrè.
«Nico Gioffrè – scrivono i magistrati –, quale referente catanzarese della cosca isolitana aveva suddiviso la gestione criminale dei territorio della città di Catanzaro affidando la zona di Germaneto a Costantino Lionetti, la zona Nord della città di Catanzaro a Luigi Miniaci e Catanzaro Sud allo stesso Mirarchi. Ciascun avrebbe potuto muoversi liberamente per il compimento delle attività illecite, in particolare le estorsioni, nella zona di propria competenza, dovendo, però, mantenersi nell’alveo delle direttive impartite dai vertici della cosca Arena per il tramite dello stesso Gioffrè». A Mirarchi non era stata data molta libertà di manovra, o lui e la sua squadra si univano agli isolitani oppure «un diniego avrebbe scatenato una sicura guerra di mafia». La scelta fu ineluttabile.
GLI INTOCCABILI, I VESSATI E L’APPELLO DEL QUESTORE Le imprese erano tutte schedate. C’erano gli “intoccabili”, le imprese da proteggere perché già sottoposte a estorsione oppure perché gestite da soggetti «fungevano da anello di congiunzione e da collettori di tangenti tra gli imprenditori estorti e la cosca stessa, come nel caso dell’imprenditore Lobello». Se gli imprenditori “intoccabili” non dovevano essere in alcun modo vessati, la squadra di Mirarchi aveva comunque il suo bel daffare a organizzare gli attacchi intimidatori commissionati e cercando di tenere i rom lontani dallo sconvolgere il nuovo ordine instaurato.
Le bottigliette molotov erano il segnale classico della richiesta estorsiva.
Il denaro veniva raccolto generalmente in prossimità delle festività pasquali, natalizie e ferragostane. Pub, ristoranti, lidi, una impresa di Napoli che stava eseguendo dei lavori nel torrente in Catanzaro Lido, sale giochi e scommesse erano tra gli esercizi presi di mira dal gruppo di Mirarchi. C’erano poi imprenditori più grossi, alcuni compiacenti, altri destinatari di specifici atti di intimidazione, i cui proventi andavano tutti nelle casse del sodalizio di Isola di Capo Rizzuto: l’impresa che si era aggiudicata i lavori per la realizzazione della funicolare/tram che collega Catanzaro Lido a Catanzaro, l’impresa titolare di un cantiere che si trova in prossimità del palazzo cosiddetto della “Cittadella regionale” in località Germaneto, l’impresa che gestiva il centro commerciale “Le Aquile”, l’impresa subappaltatrice del realizzando Parco in Catanzaro Lido, l’impresa che gestisce la fiera dell’area Polifunzionale denominata Magna Grecia a Catanzaro Lido, l’impresa che stava effettuando i lavori di ristrutturazione di un edificio a Catanzaro Sala che veniva indicato come destinato a sede degli Uffici della Dia in Catanzaro, l’impresa che aveva in corso di realizzazione uno stabilimento balneare a Catanzaro Lido, l’impresa che aveva in corso di realizzazione una clinica nel quartiere Santa Maria di Catanzaro, l’impresa che eseguiva i lavori di ristrutturazione della galleria “Sansinato”, l’impresa che aveva in corso la realizzazione di alcune villette in località Aranceto di Catanzaro e molte altre». A proposito di questo, nel corso della conferenza stampa il questore Amalia Di Ruocco ha riferito di avere chiesto ai propri investigatori quali di questi commercianti e imprenditori vessati avesse sporto denuncia contro le estorsioni subite. Non avevano denunce. L’appello pubblico del questore agli imprenditori stato quello di affidarsi alle forze dell’ordine: «Siamo in una congiuntura favorevole – ha detto Di Ruocco – siamo pronti ad ascoltarvi, a proteggervi e indagare».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
x
x