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Minniti: «Il ruolo dell'università fondamentale per l'intelligence»

RENDE «Non sono mai stato un tifoso del servizio segreto unico». Lo ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti all’Università della Calabria partecipando alla giornata di studi sul tema “Intel…

Pubblicato il: 19/06/2017 – 9:51
Minniti: «Il ruolo dell'università fondamentale per l'intelligence»

RENDE «Non sono mai stato un tifoso del servizio segreto unico». Lo ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti all’Università della Calabria partecipando alla giornata di studi sul tema “Intelligence: a dieci anni dalla riforma. Risultati, questione aperte, prospettive”. L’evento è stato promosso dal Centro di Documentazione Scientifica sull’Intelligence dell’Università della Calabria, in collaborazione con il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Repubblica, il Laboratorio nazionale Coni di Cybersecurity e la rivista di geopolitica Limes. Dopo i saluti del rettore dell’Unical Gino Mirocle Crisci e del direttore  del Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione Roberto Guarasci, ci sono state le introduzioni del direttore del master in Intelligence dell’Università della Calabria Mario Caligiuri e del docente e componente del Comitato Scientifico del master in Intelligence dell’Università della Calabria Marco Valentini. La prima sezione del convegno dal titolo: “I 10 anni trascorsi: quello che è stato” è stata aperta anche dalla relazione del predetto e consigliere di Stato Carlo Mosca sul tema “Il percorso legislativo delle riforme del sistema d’intelligence” e subito dopo  quella del direttore di “Limes” Lucio Caracciolo: “Geopolitica e intelligence”. 
Minniti ha fatto un approfondito e dettagliato excursus storico sui dieci anni di intelligence affrontando in modo molto analitico i pro e i contro di quella riforma e confrontando l’Italia con il resto del mondo. «Una cosa è il coordinamento, un’altra è il servizio unico – ha detto Minniti parlando nell’aula Magna dell’Unical -. Anche su questo ci fu molta discussione. Tutto si può migliorare e già abbiamo migliorato la legge 124 (la riforma dell’intelligence italiana varata nel 2007, ndr). Il coordinamento punta ad avere un momento di congiunzione tra due agenzie. C’è poi il discorso sulle garanzie funzionali. C’era anche poi la questione della responsabilità politica che è stata verificata dal legislatore. Non abbiamo mai avuto un momento di difficoltà. La questione del rapporto con il mondo esterno venne affrontato anche dalla 124. C’è un rapporto molto forte tra intelligence e forze armate e di polizia. Adesso si è aperta la possibilità dell’assunzione diretta, cioè non attraverso la pubblica amministrazione». Minniti non si è sottratta a una serie di valutazioni ispirate proprio al contesto in cui si è svolto l’incontro: «Il ruolo delle università è fondamentale. Forse l’Italia arriva tardi rispetto al resto del mondo su questo. Le università, nella storia dell’intelligence mondiale, hanno un ruolo essenziale. Basta pensare alla sfida linguistica e a quella cibernetica. Se mettiamo accanto un uomo delle forze armate con uno studente dell’Università viene fuori una sinergia eccezionale con una condivisione dei saperi straordinaria. Si crea un rapporto di fiducia e collaborazione». 
Il ministro è pienamente soddisfatto del percorso compiuto: «L’intelligence italiana è diventata una struttura competitiva. Bisogna lavorare molto sulla capacità di prevenzione perché a volte, dal momento in cui viene concepito e poi realizzato un attacco terroristico, passano pochi minuti: prevedibilità zero. Basta pensare a quello che è avvenuto recentemente a Stoccolma. Non c’è possibilità di prevederlo ma di contenerlo sì». Dal piano reale al piano virtuale, altro caposaldo dell’intelligence ai tempi degli attacchi terroristici: «Di fronte alla minaccia cibernetica torna evidente la questione del controllo del territorio. È questo un tema cruciale per l’intelligence italiana dove – è bene ribadirlo – c’è un legame strettissimo tra intelligence e forze di polizia. Tutto è condiviso: c’è scambio di informazioni costante. Nel 2007 quando in Parlamento si discuteva della riforma dell’intelligence sapevamo tutti che c’erano delle criticità. Era come se avessimo dovuto cambiare le ruote della macchina senza fermare la macchina. Sembrava un’impresa impossibile eppure oggi possiamo dire che l’Italia ci è riuscita. Ciò dimostra che quando si fanno le cose insieme si ottengono i risultati. Quando l’Italia opera insieme riesce a fare benissimo. Voglio lasciarvi con un augurio che sia anche un monito fortissimo per tutti noi: la sicurezza nazionale non deve essere mai elemento di scontro politico». Al termine del suo intervento il rettore Crisci lo ha omaggiato di una targa sottolineando l’impegno e lo sforzo di questo ateneo nella formazione dell’intelligence. 

MOSCA: «DIECI ANNI DI PROGRESSI» Il prefetto Mosca ha spiegato alla platea dell’aula Magna la storia del segreto di Stato legale e poi che cosa è successo dalla legge 801 in poi: «Prima non esistevano scritti sui temi dell’intelligence. Anche quello dell’intelligence è un sistema come quello della giustizia. In questo decennio si è fatto tantissimo e si è puntato molto sul coordinamento. Si è provveduto a costruire un archivio complesso. Prima si congelavano gli archivi e non si potevano consultare. Nel periodo in cui ho fatto parte del Servizio ricevevo ogni giorno un magistrato che voleva consultare l’archivio e ciò non era possibile perché ci sono ovviamente informazioni che non si possono rivelare per tutelare la sicurezza nazionale». A concludere la prima sessione della giornata di studi alcuni professori universitari che hanno affrontato il cambiamento dell’intelligence dal punto di vista soprattutto della informazione e della formazione. 

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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