Evidentemente non tutti quelli che si affannano a dire che la Calabria è al collasso, ragione per la quale non può assolutamente correre il rischio di perdere queste ultime occasioni rimaste sul tavolo, credono veramente che non ci sarà una seconda occasione. Altrimenti non sapremmo come leggere i distinguo di questi giorni o le speculazioni di queste ore.
Mario Oliverio ha qualche ritardo da farsi perdonare e qualche scelta da rimproverarsi. Ha da decentrare alcune responsabilità ed ha da mettere in riga un codazzo di impresentabili che se non ne condizionano l’operato, certamente ne deturpano l’immagine e ne minano la credibilità. Più semplicemente, Mario Oliverio deve rientrare in sintonia con quanto ha promesso durante la campagna elettorale: rottura e cambiamento.
Ha anche da metter mano, lui dice, a un difetto di comunicazione. Anche questo è vero. Lo ha detto più volte nella tre giorni del “Cantiere Calabria”, elencando cose fatte e destinate a produrre nei prossimi mesi i primi risultati. E tuttavia anche in quel settore paga lo scotto della mancata rottura e del mancato cambiamento.
Siamo sicuri, ad esempio, che sia solo insipienza e sciatteria professionale l’aver gestito, da parte di chi ne era delegato, la comunicazione istituzionale con lo stesso stile con il quale si reclamano i provoloni?
È una scelta del governatore la mancata informazione sugli esiti avuti dalle indagini interne avviate e reclamizzate sullo scandalo Ryanair o sull’omessa costituzione a parte civile nel processo al clan Grande Aracri? Oppure è la storia del cane che non morde cane per cui un burocrate non morderà mai un altro burocrate… perché i governatori passano, i burocrati restano. E fanno pure carriera, spesso su una montagna di carte false come l’attuale capo ufficio stampa che falsamente attesta di essere dipendente regionale e falsamente vince un bando interno destinato solo ai dipendenti regionali. Lo conferma anche il direttore generale al Personale, lo confermano i dirigenti di settore, lo confermano tutti ma lui resta dove è. Perché cane non morde cane. Come stupirsi allora se nessuno comunicherà l’esito delle indagini interne e se nessuno scriverà uno straccio di comunicato per informare che la Stazione unica appaltante della Regione Calabria è stata premiata, unica in Italia, dall’Anticorruzione?
E perché tacere che la Sua, pur marciando a ranghi ridotti, in sole due gare (mensa ospedaliera e informatica tributaria) ha fatto guadagnare alla Regione una paccata di milioni per ogni anno? E come mai le stesse ditte che lavoravano con chi ha preceduto la presidenza Oliverio oggi prestano servizi maggiori a tariffe esattamente dimezzate? Provi a chiederlo Oliverio ai suoi burocrati, perché è pur vero che oggi sono una casta di intoccabili ma è anche vero che se provocano danni milionari possono essere cacciati.
Senza nulla togliere al resto, la tre giorni di Arcavacata consegna una svolta, anzi due.
La prima è proprio quella delle parole forti usate da Oliverio nel dichiarare una lotta senza quartiere a quella burocrazia che oggi come ieri rappresenta la vera palla al piede della Regione Calabria: «Nel cantiere – ha detto – ci sono gli strumenti per debellare, superare, stritolare ogni resistenza al progetto di cambiamento». E ancora: «Da lunedì sarà tolleranza zero rispetto a qualsivoglia tentativo degli uffici di bloccare o anche solo rallentare il percorso che abbiamo promesso ai calabresi».
Pare che stavolta i fatti seguiranno le parole e saranno all’altezza della sfida lanciata. Si lavora, al Decimo piano della Cittadella, ad un’assemblea del personale regionale. Sarà preceduta da una lettera ai dirigenti e ai funzionari di settore con la quale Oliverio intende fissare le “regole d’ingaggio”. Prima della ripartenza è bene che la burocrazia regionale sappia. Una sorta di cartellino giallo, serve anche a ridare fiducia a quella fascia di dipendenti regionali figli di un Dio minore. Gente valida la si trova, eccome, anche dalle parti di Germaneto, si tratta di tirarla via dai sottoscala dove è stata cacciata da quell’esercito di mutanti, di nani e (soprattutto) di ballerine che migrano da una poltrona all’altra con il loro codazzo di protettori e di clientes.
È questa la precondizione senza la quale il “Cantiere Calabria” resterà, come paventa Wanda Ferro, che alla fine è l’unica a poterlo paventare senza il terrore che si apra il suo armadio e crollino una moltitudine di scheletri, un ennesimo «libro delle favole».
Il Porto di Gioia Tauro da deprivatizzare, l’Anas da ricondurre al rispetto del territorio, la sanità da rimettere a servizio vero in tutela del cittadino, i trasporti da rifondare, l’agricoltura da assecondare in questa sua magica stagione, il sistema universitario quale diga che argini la fuga dei saperi già nella fase formativa, la ’ndrangheta bollata come cancro dello sviluppo e mediatrice abusiva dei servizi. Tutto viene in conseguenza.
I Fondi comunitari meritano una nota a parte. Sono il fulcro di tutto. Oliverio rivendica di averli impegnati senza ritardi. Anche qui la comunicazione gli gioca contro. Probabilmente affianco a questa rivendicazione, ve ne sarebbe, infatti, un’altra che Oliverio farebbe bene a portare avanti: la trasparenza. In quasi tutti i bandi c’è oggi una trasparenza mai vista in passato. Merito di quanti, con Oliverio, si sono incaponiti nel mettere in piedi un sistema telematico di presentazione delle pratiche. In passato erano gli studi commerciali, sempre gli stessi e sempre bene ammanigliati, a farla da padroni. Portavi la pratica al dottore giusto che aveva in Regione il funzionario giusto e consegnava l’elenco giusto. Le carte arrivavano poi, con calma. Magari il progetto non valeva niente ma intanto passava a discapito di altri che non avevano il dottore giusto, amico del funzionario giusto che lo inseriva nell’elenco giusto.
Ci spieghi e si spieghi, Oliverio, perché i suoi comunicatori questo lo hanno taciuto. Lo scopriamo solo in sede di ricorso al Tar da parte di qualche escluso, altri hanno preferito prendere atto che il vecchio collaudato sistema non era più quello “giusto”. E la burocrazia? Da una parte fa buon viso a cattivo gioco, dall’altra fa in modo di affidare la difesa delle ragioni dell’Ente Regione all’ultimo avvocatucolo preso a bordo. Infilato negli organici regionali dal regime precedente e poi, con un tratto di penna, assegnato all’avvocatura regionale.
E veniamo al secondo risultato prodotto dalla tre giorni di Arcavacata: Oliverio ha convinto quanti ancora credono nella possibilità di prendere, come Calabria, questo ultimo treno per agganciare gli standard di sviluppo del Paese, che il cambiamento sarà, usiamo le sue parole, «la sola bussola del nostro percorso».
Forse c’è questo ritrovare il suo popolo dietro il lungo e commosso abbraccio pubblico con Marco Minniti. Il ministro dell’interno ha seguito i consigli del cuore. Avesse ragionato, come spesso amano accusarlo di fare, con il cervello e con il cinismo delle istituzioni, sarebbe rimasto lontano da un “Cantiere” aperto ancora a molte insidie, a molte presenze ingombranti e a molti rischi. Invece Minniti c’era. Nonostante in quel di Londra stava capitando di tutto e nonostante i servizi fossero allertati per rischi particolari che riguardavano in quelle ore proprio l’Italia. C’era nonostante lo attendessero a Bologna per un vertice delicatissimo sul fronte della sicurezza interna.
Ha parlato a braccio. Ha lanciato più di un qualche generico monito. Ha messo in allarme sui rischi che si corrono quando la politica ha come unico obiettivo, a tacer del resto, la raccolta del consenso («La politica vera non insegue il consenso a tutti i costi. Sceglie quel che è giusto per il Paese e per i cittadini. Il consenso verrà. Prima o dopo verrà…»).
La svolta, politica, che la tre giorni di Arcavacata ci consegna
è tutta in quell’abbraccio. Vero e intenso, al punto da legittimare anche i due lacrimoni che Mario Oliverio si concede. Ha fatto una scelta che presto dovrà passare sotto l’impietosa verifica della quotidianità dei fatti. Chi non pensa che la Calabria è davvero all’ultima spiaggia, non capirà perché occorre augurarsi che Oliverio abbia davvero deciso per una svolta. Impietosa verifica sarà, soprattutto da parte di chi ha il dovere di informare (che non è comunicare…). Ma intanto va preso atto che una scelta chiara Mario Oliverio l’ha presa.
Del resto, lo spiega bene Roberto Benigni: «Chi non sceglie lascia il potere alla folla. E la folla sceglie sempre Barabba».
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