Ultimo aggiornamento alle 20:21
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 4 minuti
Cambia colore:
 

L’omicidio mancato a Limbadi. «Se gliene davo un altro era morto»

Vito Barbàra, intercettato, si rammarica di non avere dato il colpo di grazia a Francesco Vinci durante l’aggressione del 30 ottobre 2017. E alla moglie dice: «Se c’erano le telecamere… così vedevi…

Pubblicato il: 25/06/2018 – 21:23
L’omicidio mancato a Limbadi. «Se gliene davo un altro era morto»

LIMBADI Lo volevano morto. Il primo attentato, con scopo omicidiario, all’incolumità della famiglia Vinci di Limbadi è avvenuto il 30 ottobre 2017. In quella famiglia che proprio non voleva cedere a consegnare quel terreno conteso alle pretese dei Mancuso-Di Grillo qualcuno doveva, semplicemente, morire. A essere preso di mira per primo fu il capo famiglia, il 70enne Francesco Antonio Vinci (nel riquadro), aggredito brutalmente nell’autunno scorso mentre stava per entrare nella sua proprietà di campagna. Dopo l’aggressione, subìta sotto la minaccia di una rivoltella, Francesco Vinci è stato ricoverato in prognosi riservata in rianimazione con la mascella fratturata. Gli è andata bene – rivelano le indagini dell’operazione antimafia Demetra – perché è svenuto e perché lo hanno creduto morto. Lo racconta lo stesso Vinci nella querela, sporta l’11 novembre 2017, lo dichiara sua moglie Rosaria Scarpulla. E, cinque mesi dopo, lo racconta, intercettato dai carabinieri, Vito Barbàra a sua moglie Lucia Di Grillo. È il 20 aprile 2018. Dieci giorni prima un’autobomba, azionata con un comando a distanza, aveva ucciso Matteo Vinci, figlio di Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla. Il giovane, 42 anni, è morto carbonizzato, tra atroci sofferenze. Su padre, che si trovava al posto passeggero, si è salvato miracolosamente, per la seconda volta. La signora Scarpulla non si fa remore a denunciare pubblicamente quei confinanti di terreno che da anni li vessano.
«SE GLIENE DAVO UN ALTRO ERA MORTO» Ma i Di Grillo-Mancuso – soprattutto Vito Barbàra e sua moglie Lucia Di Grillo – mostrano un’indole feroce. Si rammaricano di non avere ucciso Francesco Vinci già il 30 ottobre. Lucia Di Grillo non era presente e suo marito «rimpiangeva la mancanza di telecamere che avessero potuto immortalare la loro brillante ed audace azione (di Barbàra, Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo, ndr), così da aver modo di mostrarla alla moglie», scrivono nel fermo i magistrati Nicola Gratteri e Andrea Mancuso (alle indagini ha lavorato anche Giovanni Bombardieri, attuale procuratore capo di Reggio Calabria).
Barbàra si rammarica che il suocero lo avesse fermato, credendo morto Vinci. Altra indole mostrava, invece, la suocera Rosaria Mancuso che, è scritto nella querela, rimasta nella sua proprietà gridava «Ammazzatelo! Ammazzatelo!». Suo marito no. Mentre Vinci giaceva a terra svenuto aveva frenato la furia del genero il quale racconta alla moglie Lucia: «Inginocchiato! Te l’ho detto!… mi teneva la pancia! inginocchiato dietro di me!… “Vedi che lo hai ammazzato! per favore! è morto già! per favore! per favore!”».
Barbàra si rammarica: «Che se gliene buttavo un’altra quando era a là a terra era partito!… non mi ha lasciato!… mi si è attaccato alla pancia… piangeva! era quasi che piangeva! inginocchiato», racconta alla moglie mentre i carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo registrano tutto.
«Un altro – continua Barbàra – … che se gliene davo un altro quando era immobile là a terra… un’altra sola come ho menato altre volte… era morto!»
«Sì ma già come ha raccontato», dice la moglie.
«Va bene ma ci voleva quell’altra!… se c’erano le telecamere a qualche parte… solo così vedevi la scena», conclude Vito Barbàra quasi dispiaciuto perché nessuna telecamera ha potuto riprendere le sue gesta da mostrare alla consorte.
L’AGGRESSIONE Il 30 ottobre 2017, alle 15, Francesco Antonio Vinci sta per aprire la sbarra che dà accesso alla sua proprietà. Si accorge della presenza di Domenico Di Grillo, Vito Barbàra e Rosaria Mancuso. I due uomini camminano verso di lui, entrano nella sua terra, sono armati di revolver, un forcone e un’ascia. Il primo a colpire è Di Grillo che, mentre brandisce la pistola, comincia a sferrare colpi con l’ascia tagliando a Vinci la base di un dito della mano sinistra e l’avambraccio sinistro. «Io cercavo di parare i colpi con le mani ma cercavo soprattutto di allontanare la canna della pistola dal mio addome poiché lo stesso me la spingeva contro la pancia». Quando Vinci cade supino Barbàra lo attacca col forcone. Mira alla testa, poi sul mento, tanto che Vinci denuncia «in quel momento sentivo che “mi si era staccato parte del mento” e dal forte dolore sono svenuto perdendo totalmente conoscenza». È mancato, per fortuna, il colpo di grazia, quello che poteva essere mortale, quello che Barbàra si rammarica di non avere dato.

ale. tru.

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del mare 6/G, S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano | Privacy
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x