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Piscopio e le vedette come a Scampia
Il pentito Moscato ha raccontato le regole della cosca che voleva rimpiazzare i Mancuso. Il kalashnikov sempre pronto all’uso. E tutto il paese pronto ad avvertire gli affiliati in caso di pericolo
Pubblicato il: 20/04/2019 – 8:04
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di Alessia Truzzolillo
CATANZARO A Piscopio, piccola frazione collinare a quasi due chilometri da Vibo Valentia, c’è un bar nella piazza centrale. Di fronte al bar c’è una stradina dove si trova una sala giochi ed è qui che i “Piscopisani” detenevano le armi. Benché l’aria fosse calma, la pace a Piscopio era sempre armata, vegliata all’ombra dei kalashnikov. Lo racconta il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, 33 anni, ex braccio amato della cosca, che con pochi tratti disegna un paese dove le regole non c’è bisogno di impartirle, si eseguono e basta.
«Nella sala giochi – spiega Moscato davanti agli inquirenti –, dove le teneva (le armi, ndr) Saverio Merlo. Non so se nella telecamera si vede, ma quando giocava Rosario Battaglia a carte, al re, giusto?, che giocavano sempre a questa cosa della birra nella piazza, vicino al muro c’è una busta nera, là dentro c’era un kalashnikov, carico. Sempre è stato così».
Saverio Merlo è tra i 55 indagati dell’operazione “Rimpiazzo” che il 9 aprile scorso ha disarticolato la cosca promossa e capeggiata da Nazzareno Fiorillo, Salvatore Giuseppe Galati, Michele Fiorillo, Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Raffaele Moscato e Giovanni Battaglia. La locale di Piscopio, bene armata e male intenzionata, aveva lo scopo – stando alle indagini condotte dalle squadre mobili di Vibo e Catanzaro e coordinate dalla Dda di Catanzaro – di rimpiazzare la potente e ramificata cosca dei Mancuso, spodestandola da tutti gli affari illeciti nel territorio da Vibo a Longobardi, Bivona e Porto Salvo.
I Piscopisani sapevano di doversi guardare le spalle e che l’aria si sarebbe potuta infuocare in qualsiasi momento. «Nel senso che se succede qualcosa, io ho subito il kalashnikov a disposizione», racconta Moscato.
IL PAESE VEDETTA Dalle parole del pentito, però, è facile capire che la roccaforte dei Piscopisani era un luogo ben sorvegliato e di difficile accesso. La piccola frazione era monitorata da mille occhi, alcuni molto giovani, piccole vedette in giro per il paese. Bastava un volo radente vicino al bar, e poche sillabe, per far rizzare le antenne e tenere quel kalashnikov un poco più vicino.
«Perché a Piscopio, dottore, – dice Moscato – se c’era una volante si sapeva prima, no? Passava sempre qualcuno che faceva sempre i giochi, dice: “una volante”, “una macchina nera”, “una moto”… E passavano dalla piazza. Infatti noi sapevamo di loro in borghese, sapevamo le targhe pure di tutte le Punto in borghese», racconta Moscato ai poliziotti che seguono l’interrogatorio e che insistono a chiedere chi, chi faceva la vedetta, chi avvisava la cosca, chi era stato incaricato. «I ragazzini – risponde il pentito –. Tutti i ragazzini con la moto. Ma pure quelli con la bicicletta, pure uno di 12 anni, tutto il paese, quando succedeva qualcosa: “vedete che c’è la Polizia”, “vedete che c’è questo…”».
«Sì, ma avevate incaricato voi qualcuno in particolare?», chiede la polizia giudiziaria.
«No, c’era tutto il paese visto dicendo, tutto, non era incaricato nessuno. Tutto il paese era incaricato». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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