di Michele Presta
COSENZA Marijuana, hashish qualche volta anche cocaina. La droga era la prerogativa del gruppo criminale capeggiato da Marco Perna. Godevano di una sorte di riverenza criminale, il padre Franchino detenuto al 41 bis è stato uno dei boss storici della città e tanto basta ai clan rivali per fare un’eccezione alla regola della spartizione del territorio. Gli affari di Marco Perna però finiscono stravolti dall’operazione “Apocalisse”.
LA SENTENZA Un anno fa i giudici del tribunale di Cosenza chiusero il giudizio di primo grado con un dispositivo pesante (qui la notizia). Ma sulla decisione dei togati di riconoscere l’associazione finalizzata al narcotraffico di tutti gli appartenenti al gruppo criminale, influirono soprattutto due persone: Silvio Gioia e Luca Pellicori. Entrambi collaboratori di giustizia, entrambi intranei al gruppo, entrambi ai magistrati della Dda di Catanzaro prima e durante il dibattimento poi spifferano tutti i segreti di Perna e soci. Nella corposa motivazione redatta dal collegio giudicante tutta l’impalcatura del giudizio passa dall’attendibilità delle dichiarazioni dei due. Battono una strada diversa e la battono in due momenti del procedimento differenti. Gioia inizia a “cantare” e per i carabinieri iniziano i riscontri. Anno domini 2013, un debito di 60mila euro a cui non riesce a far fronte. Marco Perna, Pasquale Francavilla e Luca Pellicori stesso sono sulle sue tracce; Gioia capisce che l’unico modo per scampare a una fine tragica è consegnarsi ai carabinieri. Per Pellicori la situazione è diversa. Lui con Perna è amico fraterno – «Siamo cresciuti insieme fin da piccoli… Io e lui eravamo come fratelli», dirà –, quando decide di saltare il fosso il procedimento è già in corso, un particolare che i giudici evidenziano più volte. I due sono inseparabili, tra di loro il rapporto di fiducia è viscerale. Pellicori lo ripete insistentemente durante il dibattimento, altrettanto farà durante gli interrogatori davanti ai magistrati. Ma tra i due l’amicizia è consumata da un episodio d’onore: la relazione amorosa tra Marco Perna e la compagna di Luca Pellicori.
PRIMA CHE CAINO UCCIDA ABELE Luca Pellicori si pente per ripicca? Se anche fosse non invaliderebbe la bontà del racconto che ha fatto sul gruppo capeggiato da Marco Perna e di cui facevano parte anche Andrea Minieri, Giovanni Giannone e Pasquale Francavilla nel ruolo di organizzatori. Giuseppe Chiappetta, Alessandro Cairo, Ippolito Tripodi, Danilo Giannone, Paolo Scarcello, Francesco Scigliano, Alessandro Ragusa, Luca Pellicori (dopo la collaborazione ndr), Ivano Ragusa, Riccardo Gaglianese, Giacinto Bruno e Giuseppe De Stefanis nel ruolo di compartecipi. «Le risultanze dibattimentali hanno offerto una serie di indici sintomatici circa la sussistenza di una consorteria criminale dedita al narcotraffico, più comunemente nota come gruppo Perna, facente capo a Marco Perna, – scrivono i giudici nelle motivazioni – dovendosi evidenziare che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, confermate in dibattimento, puntuali, precise e concordanti hanno avuto un ruolo nevralgico e decisivo nell’indurre il Collegio giudicante a ritenere pienamente provata la penale responsabilità degli imputati per il delitto associativo». Secondo i giudici per incastrare Marco Perna ed i suoi bastavano già le dichiarazioni di Silvio Gioia, ma quanto raccontato da Pellicori blinda in modo definitivo l’impianto accusatorio portato avanti dai magistrati antimafia. «Sulle dichiarazioni accusatorie e autoaccusatorie dei collaboratori di giustizia Gioia e Pellicori, precisiamo che, l’attendibilità estrinseca ed intrinseca delle dichiarazioni ha trovato comunque conferma e supporto in quelle regole di valutazione che il tempo e l’esperienza hanno reso progressivamente. Nella prassi sono stati ben pochi i casi in cui la decisione di collaborare con la giustizia è nata da autentiche crisi di coscienza dei dichiaranti – scrivono i giudici –, nella maggior parte dei casi chi si determina a collaborare con la giustizia lo fa per mere ragioni di calcolo, prescindendo da un autentico sentimento di resipiscenza, sebbene le motivazioni di carattere personale non siano mai totalmente scindibili, va anche detto che la scelta collaborativa avviene in tutti i casi dopo la carcerazione e/o dopo che il dichiarante è stato imputato di gravissimi fatti (come nel caso di Luca Pellicori ndr). Ciò che si vuole evidenziare è che per quanto possa sembrare cinico è tuttavia umano tentare di risollevare la propria compromessa posizione processuale confessando di essere autore o coautore di gravi fatti, accusando altri per risparmiare a se stessi qualche anno di detenzione. Per Luca Pellicori la collaborazione con la giustizia è una scelta meno ragionata e più impulsiva e sempre ispirata dalla necessità di preservare la propria incolumità. Il tradimento di Perna è un oltraggio all’amicizia, all’onore, alla fiducia ma soprattutto in quel contesto è un oltraggio alla vita. Non è la vendetta a ispirare il “pentimento” di Pellicori (e se anche fosse stata la vendetta il sentimento ispiratore certamente non avrebbe inquinato la scelta collaborativa e la genuinità del narrato), ma la paura perché chi disonora l’amicizia, tradisce il patto fiduciario fondato sul sodalizio dell’amicizia prima ancora che sul sodalizio criminale, è come Caino che prima o poi ucciderà il fratello Abele. Il suo apporto conoscitivo è specifico dettagliato e confermato in dibattimento e ha rafforzato un quadro indiziario già particolarmente grave».
L’AUTONOMIA, GLI AFFARI E LA DROGA Gli affari del gruppo Perna si decidono nella base logistica dell’autolavaggio di Serra Spiga. Lì Perna, come riportato anche tra le motivazioni, avvia e conclude i suoi affari; riceve gli altri appartenenti al sodalizio prende e condivide decisioni. Circolano chili di stupefacenti, marijuana e hashish. La vendita a chi si occupa di spaccio avviene in blocchi da un chilo con un costo che oscilla dai 3mila ai 4mila e 500 euro. «Secondo Pellicori – scrivono i giudici – il guadagno complessivo in una settimana era di 50/70mila euro. La contabilità era tenuta in duplice copia da Perna e Pellicori», mentre sull’approvvigionamento è sempre il collaboratore ex braccio destro di Marco Perna a riferire da dove arrivasse lo stupefacente. «Ci pensavano Francesco Cacciola di Rosarno (noto boss della Piana di Gioia ndr) e Uberto Bellocco (altro boss della zona di Rosarno)». Ma diverso stupefacente a Cosenza, secondo le dichiarazioni dei collaboratori, sarebbe arrivato anche dall’est Europa e in particolare dall’Albania.
TUTTO PASSA DA PERNA Dopo le indicazioni fornite da Silvio Gioia i carabinieri partono con le indagini. Appuntano movimenti, ascoltano intercettazioni, segnano tutti gli spostamenti per accertarsi della cessione della droga. «Marco Perna decideva tutto –spiega Pellicori –, ogni decisione passava da lui». Ed è utile per i giudici per definire come a capo della organizzazione ci sia lui, riuscendo in questo modo a dare un senso a diverse captazioni in cui i sodali lamentavano troppo lavoro per pochi soldi. Chiappetta Giuseppe, per esempio, si lamenta delle spese vive di carburante che ha dovuto affrontare evidentemente per effettuare i vari giri di prelievo e cessione dello stupefacente e di non aver, in sostanza, ricevuto alcunché neppure a fronte del recupero di 500 euro proveniente da attività illecita «C’avia datu puru na cinqueciantu. Ma mo ma fazzu vutà», dice parlando con Alessandro Cairo. Per i giudici: «L’intercettazione lascia intendere che il provento dalla attività di cessione non venisse gestito autonomamente da chi provvedeva all’attività di recupero ma direttamente consegnato a chi gerarchicamente sovraordinato. I due parlano non sapendo di essere intercettati; «proprio così u ricchiune è ara dijuna» per i giudicanti altri non sarebbe che un modo colorito per dire che chi si assume il rischio rimane senza nessun vantaggio, manco il mezzo pieno di benzina. Sono le rimostranze “sindacali” di chi rischia senza ricevere puntualmente il giusto corrispettivo per l’attività espletata. Ma se Luca Pellicori si definisce “factotum” di Marco Perna, il capo ai suoi fidati delegava anche altre attività. Giuseppe De Stefanis per esempio avrebbe avuto il compito di custodire le armi, Andrea Minieri era il braccio destro del capo e Pasquale Francavilla invece si occupava di recuperare i crediti. Ora con le motivazioni depositate, gli avvocati difensori, avranno la possibilità di ricorrere in Appello. Un nuovo capitolo della “Cosenza criminale” è pronto per essere scritto. (m.presta@corrierecal.it)
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