LAMEZIA TERME Sono un argomento centrale nella lotta alle mafie. E anche, per certi versi, controverso. Il dibattito tecnico sulle interdittive antimafia è, da anni, più vivo che mai. Perché riguarda il contrasto alla criminalità e i suoi effetti sull’economia. L’unica strada possibile è portarlo avanti senza abusi e senza distorsioni né ricadute sull’occupazione. Un sentiero stretto. Per percorrerlo ci siamo rivolti al professor Saverio Sticchi Damiani, uno dei più profondi conoscitori del contesto, autore di testi di riferimento sulle misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici.
Professore, le ultime inchieste confermano la pervasività delle mafie nell’economia legale con sequestri per milioni di euro e legami che travalicano l’Italia. Le interdittive antimafia sono uno strumento per sventare questo tipo di infiltrazione. Ritiene che lo strumento sia utilizzato in maniera corretta?
«Lo strumento delle interdittive è, a mio avviso, astrattamente condivisibile, essendo del tutto necessario che alle imprese potenzialmente permeabili alla malavita sia impedito di contrattare con la Pubblica Amministrazione. In concreto, però, l’applicazione dello strumento è affidata ad un sistema normativo estremamente disomogeneo e inorganico, con la conseguenza che il rischio che ne venga effettuato un utilizzo distorto è più che mai attuale. È noto, infatti, che gli indici di permeabilità mafiosa di un’impresa non costituiscono un numerus clausus: la normativa rimette alle Prefetture un’ampissima discrezionalità nell’individuazione di tali elementi di contagio, che non sono né tassativi, né prevedibili dall’imprenditore. L’effetto è quello di un uso (o abuso) dello strumento che interviene sempre e comunque sulla base di mere valutazioni indiziarie e soggettive che non sono sottoposte ad alcun vaglio preventivo di giurisdizione e che, al contempo, generano effetti devastanti per le imprese, alle quali non soltanto è impedito di contrattare con la P.A., ma viene impedito, più in generale, di esercitare tout court la propria attività, anche nel privato».
Ci sono aziende più esposte di altre? Quali sono, secondo lei, le condizioni nelle quali un’impresa è più a rischio di infiltrazione?
«Potrebbe incidere il territorio in cui un’azienda opera. Ci sono territori che per definizione e storicità sono maggiormente sottoposti all’influenza delle mafie e questo fa sì che le aziende siano valutate con maggiore attenzione da parte delle Prefetture. Più in generale, sono certamente più esposte le aziende che lavorano principalmente negli appalti pubblici e quelle che esercitano la propria attività in regime di subappalto».
Tempo fa, rispetto alle interdittive, Gian Domenico Caiazza ebbe a dire che si tratta di «uno strumento micidiale più efficace della sanzione penale che andrebbe quindi portato sotto il controllo della giurisdizione». Crede che ci siano sbilanciamenti nella normativa?
«Come ho già detto, le misure interdittive, pur avendo natura di misure di cautela, generano effetti in tutto e per tutto sanzionatori ed estremamente afflittivi per l’imprenditore che ne viene colpito, il quale viene improvvisamente escluso dal mercato, con evidenti inarrestabili ricadute sulla prosecuzione dell’attività e sui livelli occupazionali. La normativa è principalmente orientata alla tutela dell’interesse pubblico alla lotta alla criminalità organizzata (tutela assolutamente condivisibile), ma dimentica, al contempo, di predisporre adeguati strumenti di tutela anche per il privato che si trova nella condizione di subire una misura con effetti marcatamente sanzionatori in assenza di garanzie procedimentali e senza una preventiva approvazione da parte di un organo giurisdizionale».
Uno degli aspetti più discussi, in seguito all’applicazione di un’interdittiva antimafia, è quello che riguarda il futuro dell’azienda colpita e i livelli occupazionali. Spesso, anche nel caso in cui il provvedimento venga revocato, è difficile restare (o tornare) sul mercato. Crede che si possa pensare a una serie di strumenti per sostenere le imprese?
«Il problema, in effetti, è più che mai attuale. A mio avviso, è auspicabile che l’ordinamento predisponga misure di sostegno del privato, tanto in forma preventiva – mediante la previsione di una forma di partecipazione dell’impresa, in contraddittorio, al procedimento finalizzato al rilascio di una misura interdittiva – quanto, a posteriori, mediante la predisposizione di strumenti processuali idonei a fronteggiare concretamente gli effetti sanzionatori di questo tipo di misure (tra questi è stato recentemente istituto il controllo giudiziario ex art. 34 bis del codice antimafia, seppur con una serie di criticità)». (ppp)
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