di Francesco Donnici
CATANZARO «La forza intimidatrice espressa da un’associazione mafiosa può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche e elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, determini un sostanziale annullamento della concorrenza». Innumerevoli inchieste citate dalla Dda di Catanzaro nella documentazione relativa all’operazione “Thomas” (qui i dettagli), attestano come il «controllo del territorio» di matrice mafiosa – per quello che riguarda le zone interessate dai Grande Aracri – abbia assunto nel tempo una connotazione di natura economica con riguardo specifico alla gestione «in forma monopolistica» del sistema degli appalti pubblici.
Lo si è visto, anche fuori dai confini del territorio regionale – riprendendo i passaggi offerti dagli inquirenti – col processo “Aemilia” in Emilia Romagna, con “Stige” che aveva invaso la zona ionica e l’entroterra attraverso la rete costruita dalla “succursale” cirotana dei Farao-Marincola, e con “Kyterion”, solo per citarne alcune. Così è anche nel Comune di Cutro, culla della “locale” facente capo a quello che era riconosciuto come il “Crimine”, Nicolino Grande Aracri, dove, per circa 10 anni, almeno fino al commissariamento del 2015, «l’imprenditore di fiducia del Comune» era diventato Rosario Lerose detto “Zà Rosa”, fratello di Francesco Lerose, sposato con Giovanna Grande Aracri, sorella del boss.
LE DICHIARAZIONI DI LIPEROTI E GIGLIO I collaboratori di giustizia, identificano Lerose come «l’imprenditore di riferimento dei Grande Aracri sul territorio». Con una serie di «vantaggi di carattere economico e di immagine» che gli avevano permesso, tra le varie, «di non subire alcuno dei “disturbi” subiti dagli altri imprenditori della zona». Proprio Liperoti racconta di «una serie di imprese cutresi, cui dirottavamo gli appalti, e che erano a nostra disposizione, nel senso che ci riconoscevano una parte degli utili erano disponibili ad assumere persone da noi indicate, recuperavamo i crediti e le finanziavamo». Nelle dichiarazioni del pentito Giglio si ricostruisce inoltre il sistema di «agevolazioni» delle quali godeva “Zà Rosa” accennando di come questi si occupasse di diversi impianti idraulici per molti comuni limitrofi oltre che per la Soakro di Crotone dove lavorava anche Giovanni De Luca, nipote di Nicolino Grande Aracri. E proprio De Luca avrebbe agevolato l’attività delle aziende di Lerose attraverso il pagamento di lavori in emergenza che in realtà non sono mai stati eseguiti «oppure non facendo fittiziamente risultare lo scarico di sostanze nei depuratori».
IL MONOPOLIO DEGLI APPALTI DI CUTRO La Dda di Catanzaro ricostruisce il sistema che permetteva alla ditta individuale ed alla Idroimpianti Lerose Srl, facenti capo a Rosario Lerose, di vedersi concessa la totalità degli appalti al Comune di Cutro. Questo grazie alla collaborazione coi Grande Aracri che dal sistema traevano utilità «non soltanto per riciclare denaro, ma anche per assicurare gli appalti ad imprese funzionali ai suoi interessi che a loro volta redistribuiscono ricchezza per gli affiliati». E alla base di questo sistema stanno l’allora dirigente dell’ufficio tecnico, Ottavio Rizzuto, ed appunto Rosario Lerose. Gli inquirenti, riprendono una serie di appalti per spiegare come il sistema si fosse consolidato attraverso «la sistematica violazione delle più elementari regole giuridiche che disciplinano le modalità di conferimento con un utilizzo a dir poco spregiudicato dello strumento dell’affidamento diretto per somma urgenza e con il frazionamento degli importi diretto ad eludere la normativa di settore». In altri termini, le somme dei lavori da appaltare venivano mantenute sotto la soglia dei 40 mila euro affinché, in base alla normativa allora vigente, l’Ente non dovesse bandire gare ad evidenza pubblica e – sempre in quest’ottica – venivano stilate delibere consiliari che riconoscevano una serie di debiti fuori bilancio. Inoltre, le somme introitate per i lavori contrattualizzati erano sempre inferiori a quelle per i “lavori straordinari” ed effettuate con la procedura della “somma urgenza”. Per questi ultimi si richiedeva la firma di Ottavio Rizzuto che compare nella quasi totalità dei lavori affidati a Lerose fino alla data dello scioglimento del consiglio comunale.
Dal 2011 fino al 2018 – per quanto ad oggi verificato dagli inquirenti – il Comune di Cutro avrebbe versato nelle casse delle aziende di Lerose una somma di poco meno di 3 milioni di Euro per un totale di 157 mandati di pagamento.
IL COMMISSARIAMENTO E LA RIMOZIONE DI RIZZUTO Coincidono con la perdita del monopolio. Nel periodo successivo al 2015 – come racconterà anche Antonio Calenda, nominato vice commissario vicario del Comune di Cutro – anche dopo il commissariamento, Lerose si presentava come «la ditta di fiducia del Comune» chiedendo l’affidamento del depuratore. «Ho fatto presente – dichiara Calenda – che l’ufficio tecnico, seguendo le procedure di legge sta predisponendo una procedura di scelta della ditta a cui affidare tale gestione e che nelle more che venga definita tale procedura e intenzione secondo il principio di rotazione, affidare la provvisoria gestione ad una ditta diversa».
Ma le procedure di legge, a Lerose, proprio non piacevano. Seguiranno così: un’escalation di intimidazioni ai danni delle ditte concorrenti ed incaricate dal Comune; diverse comunicazioni a contenuto minatorio contro alcuni impiegati “rei” di sfavorirlo. «Stai tranquillo, lavoriamo per te» gli dice uno dei dipendenti comunali durante una conversione dove Lerose chiede di saldare dei mandati di pagamento. Ma dopo il 2015, i toni diventano più rigidi quando lo stesso Lerose si vede negato l’accesso alle informazioni sui lavori appaltati alle altre ditte.
«DOBBIAMO AIUTARE “ZÀ ROSA”» Lerose vede lentamente sgretolarsi quella posizione centrale avuta almeno dal 2005 al 2014. E La rottura del monopolio determina delle inaspettate difficoltà economiche. In un’intercettazione telefonica con l’ufficiale del governo per la frazione di San Leonardo, Domenico Lanatà emerge tutta l’irritazione per la nuova situazione, contro quegli stessi impiegati comunali accusati di preferire altre ditte alla sua: «Con me devono stare con quattro piedi in una scarpa, non l’hanno capito» e prosegue «sei alla casa tua, che come comandi tu? Tu mi hai cacciato il lavoro a me, vedi che ti faccio perdere la vita». Per far fronte a questa situazione, i Grande Aracri intervengono direttamente cercando di procacciare lavori per le sue imprese, come gli inquirenti evincono da una conversazione risalente ad aprile 2016 tra Domenico Grande Aracri, sua moglie Giuseppina Arabia e Alfonso Sestito avente ad oggetto l’amministrazione del condominio “Porto Kaleo” e di alcuni lavori utili per «aiutare a “Zà Rosa”». Dichiarerà sempre Giglio che «Lerose effettuava i lavori di autospurgo in tutta la zona costiera» (redazione@corrierecal.it)
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