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«Coronavirus, attenti all'informazione buonista»
di Ettore Jorio*
Pubblicato il: 05/03/2020 – 12:51
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Il coronavirus ha generato una assurda competizione tra i media, sempre di più a caccia di share e degli scoop che l’assicurano. Non solo. Hanno lottato per assicurarsi continue presenze scientifiche tanto da fare superare a taluni, nel breve periodo, testimonianze in video pari a quelle registrate da Pippo Baudo dei tempi migliori. Un’abitudine non propriamente apprezzabile che pare essere, fortunatamente, attenuata negli ultimi giorni, a rimedio della generale confusione determinatasi a cura dei conduttori meno attenti alle ricadute psico-sociali determinate dal pressapochismo ovvero, alternativamente, dall’allarmismo naturalmente conseguente.
Una gara improvvida giocata nel campo sbagliato
Invero, l’informazione televisiva ha determinato – con i suoi «non è altro che una normale influenza» alternati a «è un virus sconosciuto ed è quindi impegnativo così come lo fu la spagnola o peggio» – l’insorgenza di una sorta di improprio agonismo tra scienziati. Un compito, quello ordinariamente esercitato da questi ultimi, che trova la sua ragione di essere nella competizione da esercitarsi nei loro laboratori – senza la quale la ricerca non avrebbe prodotto nei secoli ciò che deve alla collettività – e non già da esternarsi nei talk show più in voga.
Un andirivieni dei decisori non propriamente apprezzabile
E ancora. La politica – intendendo per essa il Governo, quelli delle Regioni e le componenti esercenti anche i rispettivi ruoli di minoranza – ce l’ha messa anche di suo nello scombussolare, specie nella prima fase, l’idea popolare sulla entità e pericolosità del fenomeno. Per il vero, lo sta facendo ancora, condizionata com’è dai dati che trasformano giornalmente in preoccupazioni collettive le aspettative del giorno prima. Ciò nonostante un discreto impegno dell’Esecutivo nell’adottare provvedimenti a ricaduta economica, indispensabili per non «spegnere» del tutto il Paese, e a tutela preventiva della salute (la più eclatante di chiudere le scuole!) consigliati dall’evolversi degli eventi e dalle preoccupazione di una verosimile espansione dell’epidemia. Due pericoli temuti che occorre scongiurare quanto più possibile, tenuto anche conto delle diversità assistenziali esistenti in un Paese caratterizzato da un sistema della salute a macchia di leopardo che, in alcune delle sue aree (per esempio, la Calabria), è appena percepibile e privo delle strutture occorrenti per fronteggiare il Covid-19.
L’amore e le passioni che generano pericolo
Quindi, tra regole igieniche, alternate con i divieti dei saluti affettivi soliti nel nostro Paese, e l’impossibilità di perfezionare assembramento di ogni tipo la preoccupazione collettiva aumenta.
Di conseguenza, tutte le famiglie italiane – caratterizzate da quel buono e sano egoismo che le mamme e i papà testimoniano in favore dei loro figli in occasione dei più generali pericoli intesi ad assicurare agli stessi la migliore tutela – vivono uno stato di ansia non indifferente. Specie quelle meridionali (le calabresi in particolari) che hanno tanti giovani e non giovani che, costretti a cercare fortuna ovvero occasioni di studio e/o lavoro nel nord del Paese, non sanno che pesci prendere nella divisione forzata dai propri cari. Un divieto per molti insopportabile a tal punto che alcuni di essi hanno avuto, nell’immediato, il comprensibile ardire di consentire – per eccesso di affetto e preoccupazione – ai loro figli di rompere il fronte, anche delle zone rosse. Da qui, una delle cause dell’incremento temuto dei test positivi nelle regioni del sud.
Attenti all’informazione buonista
Ritornando ai criteri che hanno distinto sino a ieri (ci si augura che sia così!) l’informazione in perenne gara per la conquista dell’ultimo ascoltatore, si sono prodotti danni inenarrabili in termini di corretta notizia e, dunque, di determinazione di una generale depressione dell’utenza più pessimista. Un risultato che genera e continuerà a generare non pochi problemi alla comune convivenza, preoccupata peraltro dalla tendenza alla crescita di infetti, di morti, di bisognosi di ricovero in rianimazione e terapia intensiva. Una tipologia di utenza che inciamperà nella progressiva diminuzione dell’offerta dei posti letto, già limitata nel Paese nell’ordine delle cinquemila disponibilità, della quale in gran parte già impegnata.
Un timore, quest’ultimo, che nel sud ha motivo di trasformarsi in terrore, attesa la minore presenza di posti letto idonei ad assolvere ad una siffatta specifica esigenza.
Al riguardo, occorre stare attenti dal passare ex abrupto dalla informazione di ieri, alternata tra il catastrofico e l’eccessivamente tranquillizzante, a quella di oggi spesso dimostrativa di ciò che non si possiede in termini di strutture utili a fronteggiare utilmente l’arrivo dell’epidemia.
La Calabria, il casus belli
Nella nostra regione – della quale nessuno tiene conto della particolarità che vive con l’ultradecennale commissariamento ad acta che, in quanto tale, avrebbe meritato da parte degli organi centrali un apposito trattamento – continua ad accadere di tutto.
Notizie che allarmano – determinate dalla conta in crescita dei colpiti dal virus, dai mancati controlli che hanno caratterizzato le scorse settimane e dalle inadeguatezze emerse nel fronteggiare il primo dei casi positivi – che si accavallano a dichiarazioni tranquillizzanti, che invero convincono poco.
Su tutto, è da rilevare la persistente incosciente esistenza del DCA 57 del 26 febbraio scorso (in piena calamità nazionale) con il quale si è tentato di approvare il Programma Operativo 2019-2021 della sanità calabrese. Una idea maldestra – che richiederebbe l’immediato ritiro del pernicioso provvedimento in autotutela – ma soprattutto dimostrativa dello stato di incapacità dei preposti governativi che si sono accinti, invero ricorrendo al più indecoroso taglia e incolla, a programmare i prossimi due anni della sanità calabrese senza tenere conto della epidemia in atto che sta spaventando il Paese e lo sta umiliando a livello internazionale. Il tutto, ovviamente senza che vi sia, a monte, alcuna corretta rilevazione del fabbisogno epidemiologico consolidatosi in Calabria e mai soddisfatto, figuriamoci di quello sopravvenuto a causa dall’avanzata del coronavirus.
Dunque, competenze istituzionali e scientifiche cercansi è quanto occorre alla Calabria e ai calabresi per affrontare efficacemente l’arrivo del Covid-19, che è già qui e che si spera non affatto massiccio, e la sua sconfitta.
Una istanza forte, da sostenere così come invita a fare Nicola Fiorita in una inedita unità dei calabresi.
*Docente Unical
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