In attesa di tornare a stringerci le mani in segno di pace, smettiamo di farci la guerra. Torniamo ad usare le mani per costruire le vie verso un rinnovato senso di consapevolezza, e non per costruire armi. In attesa di tornare ad abbracciarci, smettiamo di imbracciare armi per portare la guerra nei territori altrui, per devastare, ammazzare, abusare, stuprare. Usiamo le braccia per tornare ad abbracciare il buon senso, l’altro, l’ultimo, reso tale dagli abbracci mortali di un sistema economico che ha perso il senso del limite, e che ha creato un sistema dentro il quale vive solo l’abbraccio mortale. In attesa di tornare a baciarci, smettiamo di essere dei Giuda, riscopriamo l’amore e l’intimità di un bacio, spesso banalizzato, tradito, abusato. Reso anch’esso un’appendice commerciale, dunque che ha un prezzo, e non più il dono di un bacio con il suo fascino.
In attesa di tornare a parlarci, impariamo a parlare a noi stessi, a trovare quel coraggio necessario a fare i conti si, con noi stessi, anziché parlare, anzi, sparlare degli altri. Impariamo a parlare anche animatamente se necessario con la nostra anima, con il nostro essere. Ci vuole coraggio, lo so. Affrontarsi è tra le sfide più difficili che possano esistere, è terribile, e per questo molti preferiscono la scorciatoia conveniente di indossare una maschera spesso per una vita intera, che a volte diventa paradossalmente una scelta di comodo per alcuni, nascosti come sono, nella loro invisibile doppia vita. Invisibile proprio come il virus che sta mettendo in ginocchio un mondo intero.
In attesa di poter tornare a sorridere, a condividere un sorriso, ora nascosto, anzi che soccombe impaurito dietro le mascherine che dovrebbero salvarci la vita, mentre abbiamo perso parte di noi stessi, delle nostre diverse anime, rese dannate, torniamo a far sorridere almeno gli occhi. Restituiamo loro, la bellezza dei colori, azzurri, neri, ambra, chiari, scuri, proprio come i colori della pelle. Ecco, in attesa di potere tornare alle nostre vite, alle nostre libertà ora sospese dell’extra iuris, ovvero da leggi che ordinano alle stesse leggi restrizioni, compromissioni di quello che eravamo, torniamo a riappropriarci della capacità di indignazione e della necessaria assunzione di responsabilità alla quale ognuno di noi è chiamato. In attesa di tornare a vedere anche la più semplice smorfia del viso, ora anch’essa ristretta dietro una mascherina, impariamo a ricordare quante volte in maniera vigliacca abbiamo giudicato o stigmatizzato l’altro diverso da noi – non con parole, ma con una semplice ma altrettanto crudele smorfia di disapprovazione, dunque di distacco sociale.
Ecco, in attesa di tornare a riavvicinarci agli altri, non dimentichiamo che il distanziamento sociale era già presente tra di noi. Ecco, impariamo almeno a non mentirci. Prendere le distanze fisiche da tanti uomini e donne ritenute di una specie economica o razziale inferiore ha fatto parte degli insegnamenti fatti da alcuni untori del mondo degli opinionisti, e finanche delle raccomandazioni fatte a casa. Ecco, è da tempo che abbiamo preso le distanze uno dall’altro, finanche nelle vite di coppia, ed emerge chiaro nel soffocante individualismo che appare nonostante il momento attuale imporrebbe il contrario e come dovere morale, ovvero comandamento religioso. In attesa di rincontraci, ricordiamoci allora cosa implica il valore di stringersi la mano, di un abbraccio, di baciare e sorridere. Altrimenti non capisco cosa vi possa mancare, se non l’abitudine verso una gestualità che non trattiene a sé alcuna emozione, se non quella della finzione.
*scrittore
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