di Alessia Truzzolillo
CATANZARO «Tomarchio è il tipico assenteista che crea confusione intorno a sé, mostrandosi servizievole; chiede il trasferimento a Girifalco per riorganizzare l’archivio, ma non dà prova di averlo organizzato; di fatto svolge anche mansioni da autista (ma come autista avrebbe diritto ad uno stipendio inferiore) e così va anche dove meglio crede senza dover rispondere a nessuno se non al Gallucci; si guarda bene dall’utilizzare le auto aziendali per trasportare le copie delle cartelle cliniche e quant’altro; si guarda bene dal richiedere il pagamento di straordinari, che peraltro tutte le amministrazioni pubbliche devono preventivamente autorizzare». Non usa mezzi termini il gip Giulio De Gregorio nel descrivere la condotta di Rosario Tomarchio, 56 anni, di Soveria Mannelli, addetto all’archivio delle cartelle cliniche per l’Asp di Catanzaro nella sede di Girifalco, indagato per truffa e per abuso d’ufficio in concorso con il direttore sanitario dell’ospedale di Lamezia Terme, Antonio Gallucci, 54 anni, residente a Soverato. In seguito alle indagini svolte dal Gruppo della Guardia di finanza di Lamezia Terme, il sostituto procurato di Catanzaro Chiara Bonfandini, ha richiesto la misura interdittiva della sospensione dal servizio per un anno per entrambi gli indagati. Lo scorso 11 giugno Gallucci e Tomarchio sono stati sottoposti a interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari il quale ha deciso di comminare la misura cautelare al solo Tomarchio. Restano, però, i gravi indizi di colpevolezza, soprattutto in merito al reato di abuso d’ufficio, anche nei riguardi del direttore sanitario. Il gip considera «strane» le autorizzazioni che Gallucci concedeva a Tomarchio e parla di «mancanza di trasparenza creata dai provvedimenti del Gallucci intorno al Tomarchio, il quale, ogni giorno, per sua stessa ammissione, poteva decidere dove andare e cosa fare».
«Il Gallucci – scrive il gip – è responsabile proprio di avere creato una situazione tale per cui il Tomarchio non rispondesse più di nulla, emettendo addirittura provvedimenti retroattivi».
LA FORMULA PER SALVARE CAPRE E CAVOLI Ma c’è di più. Il 5 luglio, durante un’attività di monitoraggio da parte della Guardia di finanza, Tomarchio si era presumibilmente accorto della presenza dei militari. Il giorno dopo scatta l’autorizzazione da parte di Gallucci con la formula «ora come allora», che, secondo l’accusa ha il sapore di un nullaosta pronto a sanare le assenze passate quanto quelle future. Tesi sostenuta anche dal gip il quale afferma che «l’atto amministrativo retroattivo emesso da Gallucci non è legittimo e giunge appena il giorno dopo in cui la polizia giudiziaria relaziona del fatto che il Tomarchio si è accorto del servizio ocp (osservazione controllo pedinamento, ndr) in essere: lo stavano seguendo». Nel corso dell’interrogatorio Gallucci si è difeso «sostenendo che l’autorizzazione “ora per allora” era, nella sostanza, una sanatoria relativa ad un’autorizzazione che egli aveva dato soltanto oralmente. Il che – scrive il gip – significa che il Gallucci sapeva bene che certe autorizzazioni orali non servono a nulla; sapeva bene che avrebbe dovuto dare una preventiva autorizzazione scritta».
Ma perché quella autorizzazione retroattiva? Su questa domanda i due indagati dice il gip, «sono stati molto vaghi: non hanno risposto alle numerose domande del perché quel giorno e perché proprio così». Tomarchio poteva passare il badge dove voleva, in qualunque struttura dell’Asp di Catanzaro e con orari flessibili.
PENNICHE E VISITE ALLA MAMMA IN ORARIO DI LAVORO Secondo l’accusa Tomarchio si sarebbe assentato dal lavoro, anche grazie alla costante protezione di Gallucci, per ben 34 giorni, conseguendo un ingiusto profitto calcolato in 11.582,12 euro. Assenze fatte – testimoniano le indagini delle Fiamme gialle di Lamezia – di lunghe penniche in auto, lunghe soste al bar, visite alla mamma, giri in auto con figlio e fratello, passaggi alla Cittadella Regionale. Nel corso dell’interrogatorio davanti al gip Tomarchio si difende, anzi, si attribuisce anche dei meriti evidenziando delle iniziative da lui prese come l’invenzione di un regolamento per il rilascio delle cartelle cliniche. E questo nonostante vi fossero lamentele che le cartelle cliniche non venivano consegnate.
«FACEVA QUELLO CHE VOLEVA» A un certo punto Rosario Tomarchio sarebbe diventato anche una sorta di segretario di Gallucci, pur in assenza di alcun ordine di servizio, interessandosi alla qualunque come affermano le sue stesse parole: «Quindi, mi sono cominciato a interessare un pochettino di tutto. Però poi la mia cosa, si è focalizzata sul presidio di Soveria Mannelli, dalla segnaletica, ai rifiuti speciali, non lo so, alla pulizia del verde». Si sarebbe persino preso il merito di avere letteralmente “salvato” l’Ospedale di Soveria Mannelli in periodo di emergenza Covid-19, organizzandone il pretriage. Ma quella dell’impiegato più che una difesa appare una zappa sui piedi. «In conclusione, Tomarchio – scrive infatti il gip – potrà anche avere acquisito qualche merito, ma faceva letteralmente quello che voleva. E questo è venuto anche a sostenerlo nel corso dell’interrogatorio, non rendendosi neppure conto di dire cose non giustificano affatto le soste nei bar, le visite alla madre, le soste nell’auto, le deviazioni dagli itinerari che lui stesso ha indicato come di servizio».
IL CASO PILÒ A pagare le spese di questa situazione sono poi, come sempre coloro che lavorano accanto a chi può fare tutto quello che vuole. È il caso di Anthony Pilò, da circa due anni in servizio presso la sede di Girifalco, il quale ha dichiarato che Tomarchio si allontanava quotidianamente dalla sede dell’archivio asserendo che si trattava di uscite per motivi richiesti dal dottor Gallucci, addirittura chiudendo a chiave la porta dell’ufficio e lasciando fuori il Pilò, il quale rimaneva senza far nulla per intere giornate. Non solo. Circa il carico di lavoro medio dell’archivio, il Pilò precisava che in quel lasso temporale «di fatto non abbiamo prodotto una sola copia di cartelle, in quanto questi mi diceva che dovevamo attendere disposizioni del dottor Gallucci per capire come doveva essere svolto il lavoro».
Basito il gip che definisce la situazione «incredibile» visto che il dipendente Pilò «quand’anche versi in difficoltà personali, ha diritto a svolgere un lavoro e resta chiuso fuori delle porta senza potere far nulla. Il Pilò di questo si è lamentato ed il Tomarchio ed il Gallucci non lo hanno negato».
MISURA CAUTELARE Nel comminare la misura cautelare a Tomarchio il gip non ha dubbi: «Tutti questi episodi, il reiterato danno per l’amministrazione ed il corrispondente profitto, l’ottenimento di una posizione che gode di una totale assenza di controllo e la corrispondente messa in scena di un “dipendente modello” sono sintomi inequivocabili di una proclività non indifferente nel perpetuare questo atteggiamento c conferiscono alta credibilità razionale all’ipotesi che il Tomarchio continuerà tranquillamente a fare quello che ha fatto e del quale non si dimostra affatto pentito».
Caso diverso, ma non senza qualche perplessità, resta quello di Gallucci che secondo il giudice poiché si basa sull’autorizzazione retroattiva. Gli altri comportamenti, «si nascondono dietro atti ammnistrativi che sono, prima facie, assolutamente inopportuni e che hanno reso il Tomarchio privo di controllo anche con rischi non indifferenti a carico dell’amministrazione». Sarà il processo a dover giudicare il direttore sanitario. Ma gli interrogativi restano e sono gravi: «Vi è da chiedersi se, al di là della condotta palesemente illegittima ed illecita del Gallucci, vi siano responsabilità intermedie: chi è responsabile della struttura di Girifalco? Chi controlla la presenza dei dipendenti? È vero che gli archivisti hanno un luogo di lavoro nel quale non possono entrare; è vero che i dipendenti vanno al bar (e commettono comunque un reato ad andarci) perché non hanno un luogo di lavoro? (come si è giustificato Tomarchio) E se è vero è stato evidenziato da chi di dovere?», si chiede il gip.
La posizione di Gallucci viene demandata, dunque, al giudice di cognizione «il solo in grado di sciogliere i numerosi dubbi che le indagini hanno sollevato circa atti e comportamenti che, al di là di quanto dispone il codice penale, suscitano comunque forti perplessità». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
x
x