di Roberto De Santo
LAMEZIA TERME Un nuovo miracolo economico. Ma questa volta puntando anche sulla forza del Sud attrezzandolo come «la seconda locomotiva capace di trainare l’itero Paese». È la ricetta sulla quale il governo Conte dovrebbe puntare per uscire dalla crisi economica in cui è scivolata l’Italia a seguito dell’emergenza sanitaria del Coronavirus. Ne è convinto assertore Antonio Corvino, classe 1950, economista, direttore dell’Osservatorio Banche-Imprese di Economia e Finanza (Obi) che il Corriere della Calabria ha incontrato. Autore di pubblicazioni, saggi e contributi a contenuto economico Corvino ha svolto e svolge attività di consulenza nella programmazione dello sviluppo dei territori. Ma soprattutto, appunto, dirige quell’Osservatorio che da anni fornisce indicazioni utili per programmare la crescita dei territori meridionali. Mai quanto ora duramente colpiti dagli effetti del lungo lockdown che ha immobilizzato imprese, azzerato intere produzioni e, principalmente, polverizzato la capacità di spesa delle famiglie con il conseguente blocco sostanziale dei consumi. In questo la Calabria è da sempre fanalino di coda delle graduatorie nazionali, ma gli effetti dell’emergenza legata alla diffusione del virus non hanno fatto che incrementare quella distanza con il resto del Paese. Eppure le misure previste con l’ultimo “decreto Semplificazioni” varato «salvo intese» dall’esecutivo Conte nel capitolo opere strategiche non sembrano contemplare quelle infrastrutture di cui la Calabria – come il resto del Sud – «avrebbe maledettamente bisogno per aiutare non solo il Sud ma l’Italia intera ad uscire dalla palude in cui si è impantanata».
L’attenzione del Governo a seguito della crisi economica derivata dall’emergenza Covid sembra puntare maggiormente a far ripartire la macchina produttiva che resta e si concentra nel Nord del Paese. C’è il rischio che si acuisca il divario tra territori poveri come quello calabrese?
«In realtà molti segnali indicano la volontà della politica di concentrare risorse e interventi nel nord del Paese. La presunzione è che per far ripartire l’Italia è necessario rimettere in moto la parte più produttiva, che ha anche subito i maggiori danni dalla crisi pandemica. Si tratta di una presunzione chiaramente sbagliata e che non tiene conto della nuova situazione determinata proprio dalla crisi della pandemia. Questa ha in particolare messo in luce le debolezze ed anche le storture del sistema produttivo italiano concentrato nelle regioni del nord. La dipendenza del sistema produttivo italiano dalla locomotiva tedesca e dalle esportazioni, entrambe particolarmente accentuate per le regioni del nord, hanno inasprito le difficoltà del sistema nazionale organizzato prevalentemente intorno al motore settentrionale. Non essendoci un altro motore a Sud, lo stop è stato ovviamente ancor più evidente. L’Italia infatti è, in Europa, quella che ha subito e subirà maggiormente i contraccolpi economici del Coronavirus. Storicamente il Sud è stato ed è un mercato fondamentale per l’industria del Nord. Il suo blocco ha quindi aggravato ulteriormente le difficoltà del Nord. Come il rallentamento delle esportazioni. Il Coronavirus, paradossalmente, ha quindi messo in luce le storture della crescita affidata alle sole capacità dell’industria settentrionale. È perciò fondamentalmente sbagliato pensare di perpetuare tale sistema continuando a spingere solo una parte del Paese. Alla fine sarà per primo il Nord a trarne le conseguenze negative in termini di rallentamento della sua velocità di ripresa. Se non altro perché gli verrà meno il contributo del mercato meridionale (che si aggiunge al rallentamento dell’export). La politica nazionale che si annuncia è pertanto pericolosa per il Mezzogiorno e le regioni più in difficoltà di esso come la Calabria, destinate a veder crescere i divari di sviluppo, la caduta dell’occupazione, gli investimenti, ma si ritorcerà, come un boomerang, anche sul resto del Paese a cominciare dal Nord. L’imperativo è allora correggere tale impostazione facendo ripartire tutta la nazione e puntando sull’impiego delle enormi risorse meridionali inutilizzate nel circuito economico, facendo ripartire gli investimenti a Sud. Solo così sarà possibile perseguire l’obiettivo di arrestare le tante emorragie nel Mezzogiorno e favorire la ripresa nazionale».
A differenza delle aree forti del Paese dove soprattutto la predisposizione all’export può rimettere rapidamente in marcia l’economia, il Sud e la Calabria in particolare scontano anche questo ritardo. Con la possibilità che il sistema produttivo meridionale resti ancora più indietro. Come scongiurare questa eventualità?
«Non è solo il Mezzogiorno e la Calabria a scontate il rallentamento dell’export. Esso riguarda addirittura in misura maggiore il Nord. L’economia nazionale ripartirà facendo ripartire gli investimenti nel Paese. In tutto il Paese e non solo al Nord. Noi abbiamo bisogno di procedere rapidamente alla perequazione infrastrutturale delle regioni meridionali attrezzando il Sud come la seconda locomotiva del Paese. E questo obiettivo lo si persegue creando la piattaforma logistica meridionale in tutte le sue parti, completando le connessioni materiali ed immateriali che consentano alla stessa di giocare un ruolo importante nel Mediterraneo, creando le Zone economiche speciali (in contiguità con la piattaforma logistica) che attraggano investimenti produttivi nuovi attraverso, anche, finalmente, il varo di una forte fiscalità di vantaggio, ricreando a Sud le condizioni per correre sul piano tecnologico e innovativo e per dare una chance ai nostri cervelli oltre che alle nostre aziende. Ricreando una rete creditizia legata ai territori. E quindi valorizzando anche la nostra agricoltura e spingendo il nostro turismo. In questo modo si accende il secondo motore a Sud e si sostiene la crescita della nazione tutta intera».
L’accesso al credito resta sempre una nota dolente per il Sud, così come le divergenze di tassi d’interesse tra le due aree dell’Italia. Crede che un ruolo forte potrebbe essere giocato dal sistema bancario per far ripartire anche il Mezzogiorno?
«L’assenza di un tessuto creditizio legato al territorio è un vincolo potentissimo allo sviluppo del Mezzogiorno. La progressiva eliminazione delle banche meridionali, anche di primaria importanza, è stata pagata duramente dal sistema economico meridionale. Noi dobbiamo ricreare, per quel che è possibile, quel tessuto, puntando sulle banche popolari residue e sulle banche di credito cooperativo. In questa prospettiva assume un ruolo centrale la vicenda della Banca popolare di Bari, la più grande banca del sud, che con la recente decisione di trasformazione in Spa e di ricapitalizzazione può dare una scossa all’intero sistema, proponendosi come la banca del territorio in grado di guidarne lo sviluppo favorendo l’azione del restante tessuto creditizio meridionale».
Nel progetto che avete lanciato “Mezzogiorno in progress”, si parla di New deal, di nuovo miracolo italiano. Quindi è tra i fautori di un ritorno ad un intervento più diretto dello Stato nell’economia italiana?
«L’Italia ha bisogno di un nuovo miracolo economico. Ma questo miracolo può avvenire solo se si mette in moto la locomotiva del Mezzogiorno. Ovviamente servono capitali e investimenti infrastrutturali, produttivi e tecnologici perché il miracolo si compia e la locomotiva del Mezzogiorno parta. E serve uno spirito nuovo che deve caratterizzate tutto il Paese, cittadini, imprese, Istituzioni. Non si tratta di rievocare nostalgie rispetto al passato dello Stato imprenditore ma di fare ciascuno la propria parte. Ora è indubbio che lo Stato ha un compito irrinunciabile, non solo sul fronte infrastrutturale, ma anche sul fronte della ricerca e dell’innovazione tecnologica. È lì che lo Stato deve giocare il suo compito, oltre che sul versante delle necessarie garanzie e servizi a sostegno del sistema economico. Non servono posti nei consigli di amministrazione delle imprese riservati a nominati dello Stato».
Dal vostro osservatorio di cosa il Mezzogiorno e la Calabria in particolare avrebbe bisogno per ripartire, sfruttando questo momento così difficile in opportunità?
«La dimensione logistica del territorio meridionale è la vera sfida per il futuro del Mezzogiorno.
Un futuro che sempre più decisamente si giocherà nel Mediterraneo. In tale prospettiva diventa strategicamente irrinunciabile la capacità delle regioni meridionali di progettate il loro territorio in una visione solidale, ritrovando unità di intenti, capacità programmatoria e capacità di spesa.
Bisognerà portate avanti un’azione meridionale molto forte di rivendicazione degli investimenti pubblici nazionali ed europei ma mettendo in campo una irrinunciabile e caparbia determinazione a spendere bene e in fretta tutte le risorse».
Si parla della necessità di un impegno straordinario dell’Europa per risollevare le sorti dell’economia italiana e degli altri Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia. Eppure il Sud finora non si è dimostrato eccezionalmente bravo ad utilizzare le risorse comunitarie. Sembra una contraddizione: si invoca l’aiuto di Bruxelles ma poi si vanificano le risorse già a disposizione della regioni.
«Questo è un autentico tallone d’Achille per l’Italia e per il Mezzogiorno in particolare. Le lungaggini burocratiche, il conflitto stato-regioni, la tendenza a isolarsi sul proprio territorio e l’incapacità a programmare e progettare hanno pesato e pesano come macigni sulle regioni meridionali e sullo stesso Stato nazionale. A tal fine bisognerà mettere in campo degli strumenti che portino alla sostituzione ed al commissariamento dell’Istituzione che non funziona. Strumenti che riguardino sia le regioni che lo stato. Laddove una regione non sia in grado di utilizzare le risorse in maniera efficace dovrà intervenire lo Stato con i suoi poteri sostitutivi. E questo dovrà valere anche per l’Europa nei confronti dello Stato e, in casi limite, di entrambe le istituzioni nazionali. D’altronde se, come ci si augura, il NGF ( Ricovery fund) verrà finanziato con risorse a carico del bilancio europeo, misure di questo genere dovranno divenire addirittura normali. L’Europa, insomma, nel momento in cui corrisponderà significative risorse agli Stati Membri dovrà preoccuparsi necessariamente di controllare che quelle risorse vengano utilizzate bene, nei tempi stabiliti e per gli obiettivi fissati. Non c’è più tempo né per apprendisti stregoni, né per sprechi o addirittura distorsioni di nessun genere».
All’interno del pacchetto di misure che il Governo dovrebbe predisporre per rilanciare l’economia post Covid come crede che si possa affrontare il divario tra Nord e Sud?
«Il rischio più grosso è che prevalga un approccio assistenziale fine a se stesso. La coesione sociale, specialmente a Sud, è fondamentale per qualsiasi programma di rilancio. E tuttavia sarà necessario declinare l’obiettivo della coesione con l’obiettivo del lavoro e della formazione piuttosto che con la scorciatoia dell’assistenzialismo fine a se stesso. È chiaro che misure di sostegno per chi si trova in difficoltà debbano essere prese e gestite con la giusta attenzione, ma è fondamentale che prevalga l’approccio attivo a cominciare dal recupero di tutti i ritardi accumulati sul piano dei servizi sociali, sanitari, scolastici, dell’accompagnamento al lavoro. Quindi gli investimenti infrastrutturali materiali (dalle ferrovie alla logistica) ed immateriali (a cominciare dalle tecnologie per la connessione digitale) e quelli produttivi non potranno ulteriormente essere disattesi. Infine gli interventi sul piano fiscale, a cominciare dall’abbattimento del cuneo fiscale e dell’imposizione fiscale sulle imprese oltre che sui cittadini, con l’introduzione di una fiscalità di vantaggio riservata agli investimenti a Sud, sarà indispensabile per far crescere occupazione e ricchezza in vista dell’avvio di una seria politica di riduzione dei divari tra nord e sud che, come si diceva innanzi, servono al Sud, ma servono anche all’intero Paese per innescare il nuovo miracolo che, necessariamente, deve passare dalla locomotiva meridionale». (r.desanto@corrierecal.it)
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