VIBO VALENTIA Salme estumulate, bare distrutte a colpi di ascia e piccone e poi date alle fiamme. E ancora cadaveri frantumati a mani nude oppure con l’uso di seghe e coltelli. Atti disumani «contro la pietà dei defunti e in spregio al loro doveroso rispetto, compiuti con il solo scopo di conseguire i propri interessi». È questo lo scenario raccapricciante ricostruito dagli uomini della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, coordinati dalla Procura di Vibo Valentia guidata da Camillo Falvo e dal sostituto Concettina Iannazzo e che ha portato oggi all’arresto di tre persone, Francesco e Salvatore Trecate, padre e figlio, e Roberto Contartese.
Il centro degli orrori è il cimitero di Tropea, gestito di fatto in monopolio dal custode e dipendente comunale, Francesco Trecate, 62 anni. Insieme al figlio 38enne, Salvatore, operavano «abusivamente anche oltre gli orari di chiusura al pubblico, effettuando estumulazioni violando le norme vigenti». Il tutto è emerso già dalle osservazioni e dalle informative redatte dai militari della Tenenza della GdF di Vibo, risalenti già a febbraio 2020. Sono le immagini delle telecamere piazzate dalla GdF ad inchiodare padre e figlio, a novembre 2020, sebbene secondo il procuratore Falvo, si tratti «solo di alcuni degli episodi che in realtà si protraggono da molto tempo».
È il 5 novembre 2020 e – si legge nelle carte dell’inchiesta – la salma di un soggetto deceduto viene collocata all’interno di un loculo occupato da un altro defunto la cui salma verrà estumulata e posta in un altro loculo. Ma ad essere particolarmente «ripugnante» è un altro episodio – si legge negli atti della GdF e nell’ordinanza firmata dal gip, Marina Russo – e risale al 20 novembre 2020 quando l’azione criminosa dei tre soggetti indagati si mostra sprezzante e priva di ogni pietà nei confronti dei defunti. Salvatore Trecate frantuma una bara con un’ascia e un piccone, il padre Francesco ne estrae la salma, la spoglia e la seziona, ripone i resti in alcuni sacchi di plastica insieme a Roberto Contartese ma solo dopo averne mozzato il capo, mostrandolo come trofeo davanti ad altri soggetti, dipendenti di una ditta impegnata in alcuni lavori nel piazzale del cimitero. I resti e i vestiti del defunto, insieme ad altro materiale rinvenuto all’interno della bara vengono poi accatastati e dati alle fiamme dal custode, Francesco Trecate.
Episodi simili si ripetono svariate volte tra novembre e dicembre. Il 20 gennaio 2021 poi gli uomini della GdF acquisiscono la denuncia di un soggetto che ha segnalato la sparizione delle salme dal cimitero di Tropea ma anche la richiesta di denaro da parte proprio del custode per procedere alla tumulazione delle salme in una sorta di “monopolio”.
Le voci sulle attività illecite svolte all’interno del cimitero iniziano verosimilmente a diffondersi per la città di Tropea e i tre iniziano ad insospettirsi o quanto meno ad agire in modo più cauto. È all’indomani della denuncia che le telecamere degli inquirenti mostrano come i tre indagati, per la prima volta dall’inizio del monitoraggio, parcheggino le proprie auto lontano dal cimitero ma sempre in un orario di chiusura al pubblico e sempre per estumulare un cadavere e bruciarne, come di consueto, i resti, cercando poi di ripulire il piazzale dai resti.
Gli inquirenti intanto riescono ad acquisire ulteriori elementi investigativi anche attraverso la testimonianza di un altro soggetto che ha dichiarato di «essersi recato al cimitero a novembre del 2019 e di non aver più trovato la tomba del nonno defunto, rinvenendo anche il loculo vuoto». L’uomo ha poi spiegato di essere stato rassicurato dall’addetto del cimitero e per questo di non aver sporto denuncia. L’episodio però è significativo: una volta sul posto, infatti, gli uomini della Guardia di Finanza hanno scoperto che all’interno del loculo in realtà era stata sepolta proprio la moglie di Roberto Contartese, deceduta a luglio del 2019. (redazione@corrierecal.it)
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