REGGIO CALABRIA «Sentinella, quanto resta della notte?». Una voce risponde dal buio: «Sta per venire il mattino. Ma poi verrà ancora la notte». Il discorso di don Luigi Ciotti apre la XXVI giornata in memoria delle vittime innocenti delle mafie che coinvolge diverse piazze e luoghi significativi, anche in Calabria.
Lo scorso anno avrebbe dovuto essere una ricorrenza particolare, il 25esimo anniversario dell’associazione Libera che aveva deciso di chiamare a raccolta tutta Italia per riempire le vie di Palermo, dove la storia ebbe inizio. Poi è arrivato il Covid, e la chiamata alla responsabilità che ha visto tutti barricarsi in casa in occasione del lockdown.
Erano i primi anni 90 quando nel corso di una funzione religiosa commemorativa della “Strage di Capaci”, Carmela, madre di Antonino Montinaro, si avvicinò al parroco piemontese, manifestandogli la sua preoccupazione. Suo figlio era uno degli uomini della scorta, caduti insieme a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo nell’attentato del 25 maggio 1992.
E mentre il nome del giudice veniva scolpito nelle coscienze, il ricordo di tanti altri rimaneva celato dietro all’apposizione. Nasce così la “Giornata della memoria e dell’impegno nel ricordo delle vittime innocenti delle mafie” riconosciuta con la legge n.20 del 2017, approvata in prima lettura al Senato all’unanimità nel dicembre 2016.
Come giorno venne scelto il 21 marzo, l’inizio della Primavera. Anche quest’anno la ricorrenza si svolge in maniera “atipica”. Sembra infatti un ricordo lontanissimo il cielo assolato di Locri quando, lo scorso 21 marzo 2017, oltre 25mila persone si riversavano nelle strade della città scelta come centro nazionale. Le restrizioni legate al contenimento dei contagi oggi non lo permettono.
Il 21 marzo 2021, sotto i cieli calabresi di una Primavera pigra, i familiari delle vittime della ‘ndrangheta e dei crimini violenti, si riuniscono in maniera capillare in diverse piazze della regione (come in tutt’Italia) per raccontare un elenco, purtroppo, sempre più lungo.
Quest’anno i nomi letti sono 1.031. Si sono aggiunti, tra i vari, quelli dei braccianti morti di “caporalato” nel Foggiano o nella Piana di Gioia Tauro; quelli delle persone ancora in attesa di conoscere la verità sulle proprie spoglie mortali.
C’è anche il nome di Maria Chindamo, l’imprenditrice scomparsa lo scorso maggio 2016. Recenti dichiarazioni di un pentito appartenente al clan lucano dei “Basilischi” avrebbero lasciato intendere che la sua sarebbe stata una morte violenta, ordinata dalla mano mafiosa. Una delle tante vittime dell’insana logica del controllo del territorio a tutti i costi.
Lo sanno bene, a Crotone, Giovanni e Francesca Gabriele. Il nome del loro piccolo Domenico compare in quel lungo elenco da quando, lo scorso 20 settembre 2009, li ha dovuti lasciare.
«Si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato» scrissero. Morto su un campo di calcetto, colpito da un proiettile vagante in una sparatoria originata da un regolamento di conti ordinato dal clan Tornicchio. Non era lui a trovarsi nel posto sbagliato, ma chi quel proiettile lo esplose.
Anche per questo, la ricorrenza non è un soffermarsi alla sola memoria come ricordo, ma va oltre. L’obiettivo è quello di recuperare i territori e le persone, perché anche gli attori del potere mafioso, spesso, sono a loro modo vittime. Già nel 1996 venne approvata la legge ad iniziativa popolare numero 109, per il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati, affinché si andasse oltre l’inciso celebre di Pio La Torre di «recidere il legame tra il mafioso e i beni ottenuti illecitamente», restituendoli alla comunità. Più recente, invece, è il protocollo “Liberi di scegliere” nato da un’intuizione dell’ex presidente del Tribunale minorile di Reggio Calabria, Roberto Di Bella, che ha permesso a minori e donne cresciuti (e vittime) del contesto mafioso, di troncare quel legame di sangue e costruire una vita alternativa. Percorsi di rinascita, o di “Rinascita” per evocare il processo nel quale sono diversi i familiari delle vittime costituti parte civile insieme a Libera. Così come parte civile sono i tanti testimoni di giustizia che negli ultimi anni hanno deciso di sfondare le porte dell’Inferno – come lo ha definito il commerciante di Nicotera Carmine Zappia – e denunciare i propri estorsori. A leggere quell’elenco, anche quest’anno, ci sono tutti loro.
Nel frattempo, la due giorni si arricchisce di seminari, rigorosamente da remoto. Tra questi quello intitolato “Etica della responsabilità sociale contro mafie e corruzione”, che vede anche la partecipazione del procuratore aggiunto della procura distrettuale di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. In collegamento con lui ci sono Enza Rando, avvocato di Libera e già avvocato di Lea Garofalo e della figlia Denise e Vincenzo Agostino, padre di Nino. In questi giorni è arrivata la prima sentenza per l’omicidio del poliziotto e della moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989 ed ha visto la condanna all’ergastolo di Antonino Madonia, esecutore del delitto. «Bisogna battersi oggi contro una circolarità criminale che tocca tutti i settori», dice il magistrato. «Non solo dobbiamo batterci nelle aule di udienza, ma anche all’esterno, creando argini invalicabili che non consentano al circuito criminale di diventare sempre più forte e radicato». Un impegno che passa dalla sinergia tra le procure, com’è stato per il caso Agostino.
La ‘ndrangheta oggi è molto più economica, politica e professionale che mafiosa.
«L’attenzione riversata su Cosa Nostra dalle stragi avvenute nei primi anni 90 ha portato la ‘ndrangheta ad acquisire l’egemonia del narcotraffico internazionale». Arrivare alla verità, dice Lombardo, è un «passaggio di civiltà giuridica» che attraversa anche il ricordo delle vittime. «E vorrei – dice il magistrato – che fossero inseriti anche tutti i morti calabresi. Anche i magistrati morti in Calabria per mano delle mafie. Ancora oggi non c’è riferimento ai morti per mano della ‘ndrangheta negli stessi termini in cui si ricordano i morti in Sicilia per mano di Cosa Nostra. Per questo ci vuole uno sforzo corale. Dobbiamo crederci tutti e fare squadra».
Dal buio della notte, “a ricordare e riveder le stelle”. Il tema scelto quest’anno non è casuale, bensì un tributo al settecentesimo anniversario dalla nascita di Dante Alighieri.
Lo ricorda don Luigi Ciotti, che nel suo discorso traccia i lineamenti della nuova antimafia sociale, spesso chiamata anche a combattere contro se stessa.
Cita gli innumerevoli «mostri» della contemporaneità, dalla crisi globale del clima all’emergenza che sta costringendo migliaia di ragazzi in “Dad” che ribattezza «dispersione a distanza». Una criminalità sempre più a braccetto con la corruzione causa principale del dilatarsi di quella “zona grigia” che rende sempre più difficile distinguere tra i diversi fenomeni oggi in atto. Rappresentanze politiche spesso complici, anche nell’atto di rifiutare aperture verso lo ius soli che permetterebbe di porre un freno al «genocidio delle persone vittime di una deportazione indotta».
Il vaccino è la cultura. Anche per questo si era pensato di valorizzare i simboli di un settore tra i più frustrati dalle chiusure e dalle prescrizioni del periodo. In Calabria l’eco dei nomi letti dall’elenco delle vittime si è propagata in tutte le province passando da luoghi come l’anfiteatro del Parco delle Biodiversità di Catanzaro e raggiungendo la Cattedrale di Polistena, dove scuole e comunità si sono idealmente riunite intorno a quel palazzo confiscato alla ‘ndrangheta, che oggi oppone il «potere dei segni ai segni del potere».
Sono diversi i beni confiscati riutilizzati socialmente in regione. Ancora troppo pochi.
Tra questi c’è anche la struttura confiscata ai Mancuso di Limbadi, dove sorge l'”Università dell’Antimafia”. La capacità del 21 marzo è quella di ribaltare lo sguardo sul mondo, inducendo un pizzico in più di speranza. «Limbadi siamo noi, non i mafiosi», scrivono i ragazzi delle scuole che riproducono una stella di colore verde «come il colore predominante del nostro amato territorio». Oggi, quella, non è una terra che passa alle cronache come simbolo delle macerie prodotte dall’incedere dei Mancuso, ma «rappresenta noi giovani – scrivono – e il nostro impegno a lottare uniti per garantire un futuro migliore alla nostra terra. Ci impegniamo a lottare contro l’omertà, la violenza, la prevaricazione, le ingiustizie a fianco delle tante persone oneste, che sono la maggioranza». (redazione@corrierecal.it)
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