CATANZARO «Io pago Pietro Scerbo perché voglio tranquillità, perché sono di San Leonardo di Cutro». Semplice quanto disarmante, la spiegazione di un imprenditore edile agli inquirenti racconta il timore nei confronti del capoclan in una fetta di territorio monopolizzata dalla cosca. «Certo che ho paura di Mario Scerbo – spiega un’altra vittima del gruppo criminale cutrese –, tutti ne hanno paura, perché conosco chi sono, sono mafiosi».
Al racconto dell’imprenditore edile i magistrati della Dda di Catanzaro hanno dedicato un passaggio della conferenza stampa. L’ordinanza di custodia cautelare riporta ampi stralci delle sue dichiarazioni: sono il riassunto di vessazioni che vanno avanti da 45 anni. «So che gli Scerbo sono dei delinquenti – dice – perché è una cosa che tutti sanno. Ma se io vi dico queste cose ho paura che mi ammazzino». Poi l’ammissione: «Ammetto che Pietro Scerbo mi chiede un regalo a Natale, a Pasqua, a Ferragosto, gli do 400 euro, non so esattamente da quando sia iniziata questa usanza. Forse dal 1976, quando ho subìto dei danneggiamenti all’impianto di calcestruzzo sul fiume Uria, mi hanno rotto la pesa e i nastri trasportatori. Poi l’impianto di calcestruzzo è stato chiuso perché andava male e ho lasciato soltanto l’impianto di inerti».
Il rapporto con Scerbo, che la Dda considera uno dei “capi” dell’associazione mafiosa smantellata a Cutro, è datato. E le estorsioni non si traducono soltanto nel versamento di somme di denaro. «Da quando ho il magazzino sulla 106, cioè l’attività commerciale – prosegue la vittima –, è capitato che Pietro Scerbo venga al magazzino e io gli do gratuitamente i materiali di cui ha bisogno, in qualche occasione qualche latta di pittura, qualche vaso bidet. Mio figlio continua a pagare questo “regalo” di Natale, Pasqua e Ferragosto, io penso che Scerbo ho iniziato a pagarlo dopo quei danneggiamenti».
Gli investigatori appuntano che, in effetti, l’uomo ha denunciato nel 1982 dei danneggiamenti. E suo figlio conferma di aver continuato a pagare quelle somme a Scerbo, «pur non avendo ricevuto esplicita richiesta, ma in quanto a conoscenza della caratura criminale del soggetto in questione».
«A fronte delle vostre domande – spiega – ammetto che pur non avendo mai ricevuto minacce, ho consegnato con una cadenza di circa due volte l’anno circa 300 euro a Pietro Scerbo… ribadisco che non ho mai subìto minacce esplicite, ma sono solito informarmi sulle persone con cui ho a che fare e conosco Scerbo e la famiglia alla quale appartiene dai giornali. Scerbo in più occasioni durante l’anno passava dal mio negozio e spesso era solo per un saluto. Tuttavia come sopra detto, all’incirca due volte l’anno, lui veniva in negozio e senza bisogno di richieste esplicite, gli consegnavo una somma di denaro pari a circa 300 euro». Per il gip distrettuale, «non v’è dubbio che nella specie l’operato di Scerbo Pietro abbia richiamato ed evocato nelle persone offese l’esistenza alle spalle di una più ampia consorteria – la famiglia Scerbo di San Leonardo di Cutro – come le stesse vittime hanno riferito, anche in ragione delle minacce subìte, così da creare nel soggetto passivo di una condizione di totale coartazione psicologica, che altro non è che quello stato di assoggettamento e di omertà che rappresenta il naturale effetto dell’agire della criminalità organizzata. (p.petrasso@corrierecal.it)
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