REGGIO CALABRIA Il processo “Gotha”, dopo i lunghi anni del dibattimento, si ripropone di accertare, oltre alle singole responsabilità penali degli imputati, anche l’esistenza di «una componente plurisoggettiva riservata avente funzioni strategiche nell’ambito della struttura complessiva dell’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndrangheta. Detta associazione, inizialmente denominata “La Santa” o “Mammasantissima” continua ad operare attraverso meccanismi operativi sempre più sofisticati».
Le conclusioni di una requisitoria durata oltre dieci udienze sono state rassegnate lo scorso 26 maggio dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, che ha passato in rassegna l’imponente mole probatoria alla base delle richieste di condanna avanzate dall’accusa, per un totale di oltre 250 anni di carcere.
«Noi – dice il pm – abbiamo di fronte un sistema criminale di tipo mafioso coincidente con quello universalmente riconosciuto come ‘ndrangheta. Non solo unitaria, ma anche come struttura avente una ciclicità operativa nella misura in cui il controllore diventa controllato, l’amministratore amministrato, l’imprenditore il cliente e il beneficiario il padrone». Nella ricostruzione dell’accusa, dalle pronunce di “Gotha” potrebbe uscire una struttura articolata, fatta di molteplici soggetti rivestenti ruoli «che sulla base di un disegno più ampio, mutano per rimanere uguali a se stessi».
Il lavoro della procura ha inteso ricostruire una struttura della ‘ndrangheta che va oltre la componente territoriale o delle singole “famiglie” ed è «integrata da componenti ulteriori, riservate, che non sono mai state altro rispetto alla predetta struttura criminale. Quindi la ‘ndrangheta non è soltanto un’organizzazione criminale di tipo mafioso con caratteristiche sovranazionali, ma è diventato un ramificato sistema di potere perfettamente ponderato su quelle che sono le caratteristiche di cui al 416-bis, comma 3 del codice penale».
«Le organizzazioni criminali di tipo unitario sono tali in quanto garantite da un organo collegiale di vertice con funzioni organizzative denominato la “Provincia”» ovvero la direzione organizzativa della ‘ndrangheta, come ricostruito già nei processi “Crimine” e “Infinito”.
Questa struttura sarebbe dotata di gerarchie note a tutti i suoi componenti, la cui esistenza dev’essere manifestata. «C’è una ‘ndrangheta che si deve manifestare – dice Lombardo – nel momento in cui si entra in contatto con altri appartenenti di pari grado del medesimo gruppo mafioso quale segno esteriore del mutuo riconoscimento che l’essere parte della ‘ndrangheta impone».
All’apice della gerarchia visibile vi sarebbero i “vertici mandamentali” o “direzioni operative” che gestiscono le attività nelle macroaree, come ricostruito nel processo “Meta” riferito alle cosche del “mandamento Centro”. Questi sono gli unici a conoscere non soltanto il “sottomondo” dell’associazione, ma anche il “sopramondo”.
Nel “sopramondo” risiedono soggetti occulti, «che non devono in alcuna occasione essere dichiarati ai componenti della struttura di base» in quanto la loro esistenza «è nota solo a una ristretta cerchia di affiliati di rango elevatissimo».
Nella “componente mista” o “entità imperiali” risiede invece la “testa pensante” dell’associazione. «Accanto ai massimi componenti della ‘ndrangheta visibile – dice Lombardo – prendono parte soggetti come associati occulti (riservati o segreti, ndr), soggetti qualificati provenienti da convergenti contesti operativi ai quali sono delegati i compiti di curare lo stabile collegamento funzionale tra le due componenti e le organizzazioni massoniche coperte quali indispensabili interfacce con ambienti politici, professionali e imprenditoriali che entrano in rapporto con la ‘ndrangheta».
Le regole segrete che disciplinano l’attività della componente apicale riservata, da considerare pacificamente l’evoluzione della società di Santa, interna alla ‘ndrangheta, «sono le regole tradizionali di base che continuano a trovare applicazione nei confronti degli appartenenti delle componenti “visibili”». Il compito di applicarle è dato alla “testa pensante” con l’obiettivo primario «di preservare la struttura apicale riservata». Anche per questo «sono caratterizzate da estrema rigidità applicativa», tanto da impedire l’ingresso in apparati massonici regolari agli appartenenti della ‘ndrangheta “visibile” e viceversa. «Non tutte le regole speciali servono per amministrare». Basti pensare a quelle che consentono l’accesso alla “componente riservata” ai soli appartenenti alla “massoneria coperta” o “deviata”, «ovvero coloro che sono sconosciuti come tali, anche ai loro confratelli di loggia».
Viceversa, solo colui che è investito di “sovradoti” può fare accesso alla massoneria deviata. Questo passaggio ben si comprende dalla più volte citata intercettazione di Pantaleone “Luni Scarpuni” Mancuso che spiega a un altro affiliato la differenza tra la ‘ndrangheta di base (“quei quattro storti che ancora credono alla ‘ndrangheta”) e il vertice che lui identifica con una componente avente caratteristiche massoniche.
«Tale regime di doppia secretazione serve per preservare tanto la “componente laica”, ovvero i massoni quanto quella di tipo “clericale o cardinalizio”, i così detti “santisti”, con l’evidente fine di creare una falsa rappresentazione della realtà. Coì facendo, i gradi inferiori dei grandi capi sono portati a pensare» questa componente riservata come esterna rispetto al resto dell’associazione. Al centro della ricostruzione dell’accusa c’è invece la volontà di dimostrare come questa componente (riservata) sia in tutto e per tutto ‘ndrangheta. Interna.
Questa struttura e annesse regole è necessaria proprio al fine di evitare che l’associazione rischi di ricadere nelle dinamiche che hanno generato la prima e la seconda guerra di ‘ndrangheta. «Le guerre non consentono l’attuazione della progettualità di rango elevato che è stata alla base della discussione della requisitoria».
«Allo scopo di trasformare la ‘ndrangheta in associazione per delinquere di tipo mafioso operante su base territoriale in potentissima agenzia di servizi criminali, le “famiglie” più importanti dei tre “mandamenti” (Centro, Jonico e Tirrenico, ndr) capiscono che è necessario creare zone d’ombra, sfruttare i pregiudizi, gli stereotipi e le preconvinzioni».
La struttura di vertice viene costituita sfruttando le caratteristiche della ‘ndrangheta di base senza creare un sistema nuovo «per evitare di generare un azzeramento di tutto il vantaggio acquisito su base nazionale e globale».
Alla componente “militare” o di “base” vengono dunque garantiti i “generali”, le regole certe e soprattutto i flussi economico-finanziari in grado di «soddisfare la fame della ‘ndrangheta».
«Se la base ci toglie il consenso siamo finiti», diceva Piromalli.
Altrettanto importante è però evitare che anche solo distrattamente i soggetti del livello occulto potessero essere accostati ad altri appartenenti (visibili) della ‘ndrangheta. «Solo pochissimi – dice il pm – potevano creare una componente apicale della ‘ndrangheta come estranea al contesto associativo. E quei pochissimi sono oggi qui imputati».
Se l’organismo dovesse divenire visibile non avrebbe di fatto motivo di esistere. «È necessario quindi secretare ulteriormente quello che è già segreto» e che si gestisce attraverso regole diverse da quelle della ‘ndrangheta tradizionale. Da qui il riferimento dei collaboratori di giustizia: «A un certo livello non siamo contro lo Stato; siamo amici dello Stato».
A questo punto andava impedito che le indagini giudiziarie potessero ricostruire la componente segreta della ‘ndrangheta. «Il rischio [per loro] – dice Lombardo – è diventato attuale dal momento in cui le ricostruzioni relative all’unitarietà della ‘ndrangheta hanno permesso di risalire alla possibile esistenza di una componente interna che rimanesse immune dalle investigazioni.
La primaria esigenza è dunque quella di non lasciare tracce di processi di legalizzazione non necessaria «sulla base della consapevolezza che ciò che conta è la sostanza». Per aggregare questi soggetti “invisibili” si superano dunque «inutili e antistorici controlli e rituali di affiliazione» previsti per i soggetti di base, che dimostrano così il loro senso di appartenenza. «Meno visibile è il percorso di fidelizzazione, maggiore è la sua forza».
Il “riservato” sa di essere parte di un sistema criminale ben più ampio di quello visibile e di una struttura unificata. Il suo compito è quello di gestire il vastissimo circuito relazionale.
Il funzionamento di questi sofisticati meccanismi passa dal condizionamento di strutture pubbliche indispensabili «che divengono lo strumento più evidente per generare ricadute utili a ricollocare l’enorme quantità di denaro liquido non immediatamente spendibile».
«L’aver consentito l’ingresso nella ‘ndrangheta di “laici” riservatissimi ha permesso ai “capo Crimine” di trasformarsi rimanendo se stessi. Sono soltanto loro a sapere quali siano i compiti ulteriori delle componenti apicali “riservate” che però devono mantenere i rapporti coi “capo Crimine” per preservare il carattere unitario della struttura ‘ndranghetista».
E così, negli anni 70, questo progetto ambizioso li ha spinti a superare la “società di sgarro” per giungere alla “società di Santa”. «Sono diventati in poche parole i rappresentanti di un sistema criminale così evoluto da essere diventato un’istituzione».
Passaggio per passaggio, la ricostruzione traccia un quadro che in maniera inequivoca, chiosa il pubblico ministero: «Spiega perché la ‘ndrangheta è conosciuta come l’organizzazione criminale più ricca e potente del mondo. Questa è la ‘ndrangheta, queste le sue dinamiche, questo il sistema criminale che opera ed ha operato in questa terra interrompendo funzioni sovrane dello Stato italiano». (redazione@corrierecal.it)
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