LAMEZIA TERME «Ho un cellulare da 30 euro che uso per chiamare la scorta. Non sono connesso a internet. Non ho computer perché, sinceramente, senza connessione a internet non saprei cosa farmene. Ho la televisione». È questo il rapporto del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, ex braccio armato delle cosche vibonesi, con la tecnologia. Nel corso del controesame con l’avvocato Marco Talarico, avvenuto nei giorni scorsi nel corso del processo Rinascita Scott, affronta il tema del modus operandi nel fingere la malattia mentale che lo avrebbe portato a passare dal carcere ai domiciliari nella clinica Villa Verde in provincia di Cosenza.
Mnatella racconta di aver finto la malattia mentale, una sorta di depressione che inscenava davanti ai periti. «Mi crescevo la barba, mettevo il cappellino e fingevo». E i periti stilavano le relazioni.
«Non mi dimostravo attento e vigile – prosegue Mantella – Per dare input alla patologia ho messo in scena come se mi stavo suicidando. Mi ero fatto dei segni, dicevo che sentivo la sabbiolina nel sangue, le formiche nelle vene, che sentivo i topi nelle vene. Sulla cartella clinica erano prescritti dei farmaci che io non ho mai preso. Passava il carrello con le medicine, che stavano su una garza, io le prendevo e le buttavo nello sciacquone».
Questa “barzelletta”, come la definisce lo stesso Mantella, va avanti nel carcere di Vibo e prosegue in quello di Cagliari. Il medico del carcere gli aveva assegnato la sigla GS, grande sorveglianza. Mantella era sicuro di lasciare il carcere con quello stratagemma, tanto che, racconta, «prendevo in giro gli altri detenuti come Francesco Scrugli e Salvatore Mantella: “Io esco, voi fatevi la galera”».
«Pasquale Bonavota aveva un’agenzia di pompe funebri nella piazza di Sant’Onofrio difronte al bar di suo fratello Nicola. Quando è stato il mandante dell’omicidio di Domenico Di Leo come regalo gli ha regalato una cassa da morto Pasquale Bonavota a Domenico Di Leo. Il socio di Domenico di Leo era un signore con i baffoni – racconta Mantella rispondendo alle domande dell’avvocato Tiziana Barillaro – e forse c’era anche come socio un tale Diana».
Il legale chiede se è vero che durante la latitanza di De Stefano fosse stata chiesta un’ambulanza a Curello. «Sì, è vero», conferma Mantella.
«E perché i Bonavota hanno chiesto ai Curello se avevano l’agenzia di pompe funebri?», chiede l’avvocato.
«A me non risulta che i Bonavota avevano l’ambulanza – dice Mantella –, avevano qualche carro funebre e Alfredo Cracolici glieli ha pure rubati e poi voleva il cavallo di ritorno».
«Come mai nella spartizione dei funerali non rientrano i Bonavota che pure hanno un’agenzia funebre?».
«Perché i Bonavota erano limitati nella zona di loro competenza e su Vibo non avevano competenza criminale. I Bonavota sono di Sant’Onofrio».
«Quando lei si trovava detenuto a Villa Verde venne a mancare suo padre. Chi fece i funerali di suo padre?», chiede l’avvocato.
«Mah, mi creda che io non lo so chi fece i funerali di mio padre. Non credo fossero i Bonavota. Non ricordo chi fece i funerali di mio padre, non lo so».
L’avvocato Barillaro ha affrontato anche il tema degli omicidi di Raffaele Cracolici, ucciso a Pizzo il 4 maggio 2004 e Domenico Di Leo, detto “Micu u catalanu”, assassinato a Sant’Onofrio il 12 luglio del 2004. Dopo l’agguato a Di Leo, Mantella ha ricordato che Nicola Bonavota andò a prendere con un Golf nera, «una macchina pulita» Francesco Scrugli, Francesco Fortuna e Andrea Mantella. E visto che l’auto era pulita, Mantella non lasciò in macchina i guanti e la pistola che deteneva lui. «Mi sono disfatto dei guanti e della pistola tra il luogo in cui avevamo incendiato la vettura, che non si è bruciata integralmente, e il tragitto verso Pizzo».
«Quali erano gli affari di Pasquale Bonavota a Roma?», chiede l’avvocato.
«Pasquale Bonavota era un trafficante di droga a livello industriale con i Palamara della Locride. Era in stretto contatto con gli Alvaro, vendeva droga in quantità industriale, si autofinanziava e finanziava il proprio gruppo. Tanto è vero che mi disse che se io avevo necessità mi avrebbe dato dello stupefacente per materializzarlo in denaro. Io non accettai quel “dono” e dissi che avevo dato una mano a lui e ai suoi fratelli per amicizia e non per denaro». A Roma Pasquale Bonavota non si occupava solo di droga ma «aveva fatto degli affari nel settore dell’edilizia con il genero di Carmine Alvaro, alias “Il copertone”. Avevano fatto delle costruzioni in cui aveva investito del denaro. Se non ricordo male poi il genero di Alvaro è stato ucciso». Inoltre, sempre nella Capitale, il boss curava l’affare delle «macchinette mangiasoldi. Aveva un deposito per le macchinette a Sant’Onofrio, dove c’era custodito anche il furgone che abbiamo utilizzato per l’omicidio di Raffaele Cracolici. Siamo andati in quel capannone a prendere il furgone per uccidere Cracolici». Secondo Mantella per l’attività delle macchinette Pasquale Bonavota utilizzava il sodale Carlo Pezzo.
«Allo svincolo dell’autostrada – dice ancora Mantella – Nicola Bonavota aveva un fabbricato col quale aspirava a fare degli uffici della pubblica amministrazione. La cosa non andò in porto e aspirò a fare una tavola calda, una tabaccheria. Bonavota diceva che la proprietà era sua».
x
x