CROTONE Nell’ambito del processo Stige istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Farao-Marincola di Cirò e i suoi sodali— troncone ordinario svolto davanti al Tribunale collegiale di Crotone – l’ex sindaco di Cirò Marina Nicodemo Parrilla è stato condannato a 13 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accusa – rappresentata in aula dal pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio – Parrilla ha goduto «del proselitismo ‘ndranghetistico della cosca, divenendo sindaco del Comune di Ciro Marina e presidente della Provincia di Crotone, quest’ultimo conseguito per il tramite delle pressioni ‘ndranghetistice esercitata da Giuseppe Sestito e Francesco Tallarico (condannati entrambi a 20 anni in abbreviato) sui consiglieri Comunali della Provincia di Crotone, specie su quelli del comune di Casabona, per aver sempre piegato gli incarichi elettivi appena citati per curare gli interessi della consorteria».
Non solo.
Secondo l’accusa «i candidati per le elezioni al consiglio comunale di Ciro Marina, negli anni, sarebbero stati selezionati e sostenuti direttamente dai vertici del locale di ‘ndrangheta di Cirò determinando un alternanza tra le amministrazioni guidate dai sindaci Nicodemo Parrilla (nelle elezioni del 2006 e del 2016) e Roberto Siciliani (eletto nel 2011, condannato a 8 anni in abbreviato, ndr) legati entrambi alla consorteria cirotana e garantendo anche l’elezione di altri esponenti della consorteria, disposti a perseguire gli interessi della cosca. (Nevio Siciliani, condannato a 8 anni in abbreviato e Giuseppe Berardi, ex vicesindaci di Cirò Marina, condannato a 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, ndr)».
Secondo il collegio che ha emesso la sentenza – Massimo Forciniti presidente, Elvezia Cordasco e Davide Rizzuti a latere –, nel corso del processo è emerso che «la cosca cirotana collocava – scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza – delle persone appartenenti all’organizzazione inserendole nell’amministrazione e sostenendole elettoralmente» e ciò allo scopo di ottenere futuri vantaggi dirottando verso i propri personali interessi l’interesse pubblico che l’ente avrebbe dovuto perseguire (autorizzazioni, concessioni, assegnazione di appalti di lavori e servizi etc: gli associati si preoccupavano invero delle più disparate questioni: dall’assunzione della figlia di Natale Farao, alla gestione dell’appalto relativo alla raccolta differenziata affidandole a ditte compiacenti). Non a caso l’accusa rileva, attraverso le intercettazioni telefoniche e le osservazioni degli investigatori, una «asfissiante presenza degli affiliati al locale cirotano all’interno della casa comunale e, in particolar modo, dell’ufficio tecnico».
Un ruolo importante nella vicenda del controllo della vita amministrativa e politica nel Cirotano lo avrebbe avuto, sentenziano i giudici, la «famiglia Siciliani, ritenuti il collante tra la politica e il sodalizio criminale».
«Gli elementi di prova raccolti durante l’istruttoria hanno dato atto dello storico rapporto tra la famiglia Siciliani e la cosca cirotana che ha riguardato in particolar modo la concessione di benefici resi dagli appartenenti del nucleo familiare Siciliani a diversi esponenti della cosca sotto forma di elargizioni di somme di danaro, concessioni di beni e proprietà immobiliari e altri emolumenti di natura economica che hanno consentito alla cosca di implementare il proprio patrimonio e che in cambio di ciò e in virtù di tale rapporto, la cosca si è adoperata nel corso delle varie tornate elettorali al fine di agevolare l’elezione degli appartenenti alla famiglia Siciliani, ottenendo per tal via un controllo diretto sull’amministrazione comunale».
Una premessa importante, quella appena fatta, per comprendere il ruolo di Nicodemo Parrilla il quale «ha goduto del proselitismo ‘ndranghetistico della cosca in tutte e tre le tornate elettorali che si sono susseguite a Ciro Marina dal 2006 al 2016». Secondo i giudici, dal materiale intercettivo captato nel corso della campagna elettorale e dopo il suo insediamento nell’amministrazione comunale, così come dalle intercettazioni catturate nelle auto dei Siciliani, «è emerso il sostegno fornito dalla cosca già nelle consultazioni del 2006, in particolar modo da parte del capo-cosca Vincenzo Pirillo (reggente del sodalizio ucciso, l’anno successivo in un agguato di matrice ndranghetistica) e di Giuseppe Spagnolo (condannato a 20 anni in abbreviato, ndr).
A maggio 2006 Nevio Siciliani viene inserito nella lista del candidato sindaco Nicodemo Parrilla. Una candidatura che preoccupava gli stessi familiari di Nevio Siciliani: il padre e il fratello, infatti, erano «preoccupati del carattere eccessivamente irruente di Nevio e dall’appoggio non celato del reggente Vincenzo Pirillo». Nonostante questo, Cenzo Pirillo proteggeva la candidatura di Nevio Siciliani e di Nicodemo Parrilla perché «giudicava i due come persone facilmente assoggettabili alle volontà dell’organizzazione criminale». E non la pensava così solo Pirillo. Nicodemo Parrilla viene descritto dagli stessi appartenenti alla consorteria come una persona leggera, non dissimile da Nevio, disponibile a mettere firme senza creare problemi. «Il dottore Parrilla ha lo stesso cervello di Nevio, proprio identico … leggero, buono, disponibile … così che se ti deve mettere una firma una cosa non è che ci pensa due volte».
Significativa è la candidatura di Giuseppe Berardi (condannato a 15 anni e 6 mesi per associazione mafiosa) marito di Farao Natalina, nipote dei capi promotori della cosca Giuseppe Farao e Silvio Farao.
Berardi era stati inserito dalla cosca nella gestione dell’impresa di ‘ndrangheta che monopolizza servizi di lavanderia, la “Wash Plus L45”, con sede a Ciro Marina. Ma con le candidature aveva ottenuto un numero sempre crescente di consensi e, per l’effetto, la concessione di importanti deleghe assessorili nelle amministrazioni 2006-2011-2016.
Nella ricostruzione del processo – riepilogata all’interno della sentenza – si cita l’escussione del teste Vincenzo Sculco, ex consigliere regionale ed elemento di spicco della politica regionale. In sede di controesame il pm Guarascio ha chiesto a Sculco chiarimenti circa l’appartenenza di Giuseppe Beradi al gruppo politico facente capo all’ex consigliere regionale (i Demokratici). «Sculco ha in un primo momento preso le distanze da Berardi – è scritto in sentenza –, riferendo che la storia politica del medesimo era caratterizzata da molteplici cambi di schieramenti politici ma che, ciononostante, nel 2016 il supporto elettorale alla candidatura di Parrilla venne attuato proprio mediante indicazione di Giuseppe Berardi».
Secondo i giudici un’altra importante conversazione che rimarca l’assoggettamento di Parrilla alla cosca è quella intercorsa tra Nevio Siciliani e Salvatore Morrone, altro esponente di spicco del sodalizio criminale. Emerge con evidenza l’interesse di Salvatore Morrone alla realizzazione di una struttura turistica nella zona del parco archeologico e la necessità di avvicinare, a elezioni concluse, i soggetti in grado di facilitare la concessione delle autorizzazioni necessarie. «Nicodemo Parrilla è nelle mani nostre – lo tranquillizza Nevio Siciliani –, se vede a Cenzo si spaventa e se voi gli dite: “dammi la luna”, lui vi dà la luna».
Nel 2006 viene eletto sindaco di Cirò Nicodemo Parrilla, nel 2011 Roberto Siciliani (che si era slegato dall’unione di intenti che lo legava a Parrilla) e nel 2016 viene eletto di nuovo Parrilla. Il collegio nota che «quello che è emerso dal corso dell’istruttoria è la circostanza per cui tra il 2006 e il 2016 la cosca ha alternato, o comunque ha consentito l’alternanza dei sindaci Parrilla e Siciliani, Parrilla nel 2006 e come poi si può vedere nel 2016, e Siciliani nel 2011, mentre determinati soggetti, uno su tutti Berardi Giuseppe, sono stati sempre insediati all’interno della fazione politica che poi ha ottenuto il maggiore numero di consensi, il che disvela ulteriormente l’estrema malleabilità e capacità di adattamento della consorteria, indifferente ai colori politici dei protagonisti delle consultazioni elettorale, in quanto esclusivamente interessata ad insediare nella giunta e nel consiglio comunale i propri fiduciari sì da condizionarne le scelte politiche e piegare naturale perseguimento delle pubbliche finalità, cui l’ente dovrebbe essere orientato, alle proprie mire imprenditorial-mafiose». Il collegio rileva come l’ambizione di Roberto Siciliani a diventare sindaco lo avesse portato a rivolgersi ai principali esponenti del sodalizio per rinfacciare loro la vicinanza che avevano sempre avuto da parte della famiglia Siciliani «agli interessi della cosca e le innumerevoli elargizioni immobiliari, economiche e politiche rese nel corso di un perdurante e ultradecennale sostegno». Emblematica per i giudici è la conversazione tra Nevio Siciliani e Vittorio Farao figlio si Silvio «nella quale quest’ultimo rimarcava che era stato Roberto Siciliani “ad andare da loro” e non il contrario».
Per le amministrative del 2016 gli investigatori del reparto Anticrimine di Catanzaro e del Nucleo investigativo di Crotone registrano un rilevante incontro l’hotel Napoleon di Torre Melissa con la partecipazione di esponenti qualificati della cosca Cirotana, nello specifico Salvatore Morrone, Giuseppe Spagnolo e Martino Cariati (condannato a 15 anni e 4 mesi), di un esponente della cosca reggina dei Morabito, ossia Morabito Pasquale, nipote del super boss “ù tiradrittu”, nonché dei rappresentanti politici Parrilla Nicodemo, Berardi Giuseppe e Antonio Gallella. «La partecipazione del Parrilla al suddetto incontro dimostra la contiguità dello stesso con ambienti criminali e disvela altresì la sussistenza del perdurante accordo polico-mafioso tra la consorteria e il sindaco Parrilla che, nella piena consapevolezza della caratura criminale dei partecipanti all’incontro, senza particolari riserve etiche, prendeva parte all’incontro con esponenti della consorteria non solo cirotana ma anche di altre importanti cosche calabresi, giungendo persino, nella stessa autovettura, in compagnia di Morrone Salvatore ù biondo che, come si è visto negli approfondimenti relativi ai colloqui carcerari del capo-cosca Giuseppe Farao, era il reggente e il vertice della consorteria per il territorio di Cirò Marina, unitamente a Sestito e Castellano, delegati alla reggenza del circondario di Cirò Superiore».
«Pertanto – scrivono i giudici – è indubbio che ci fosse da parte del Parrilla la piena consapevolezza dell’esistenza di una realtà criminale di stampo mafioso che sosteneva le sue discese in capo nella politica locale. Tanto è possibile affermare non solo per l’indiscutibile “fama” che la cosca aveva raggiunto nel territorio, ma anche perché è proprio la peculiariatà dell’incontro (svoltosi in via riservata in un’area privè dell’hotel Napoleon), caratterizzato dalla presenza di imprenditori, politici ed esponenti delle varie consorterie calabresi a denotare la profonda interessenza di interessi tra l’imputato e gli ambienti criminali cirotani». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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