REGGIO CALABRIA Nella mattinata di mercoedì 20 ottobre, al termine di complesse e articolate indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, la Squadra Mobile reggina – con il supporto degli equipaggi dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico – nel corso di un’operazione di polizia convenzionalmente denominata Pedigree 3, ha dato esecuzione all’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di Francesco Doldo, 38 anni, e Domenico Russo, 22 anni, ritenuti responsabili di associazione mafiosa.
L’inchiesta è la naturale prosecuzione delle investigazioni relative alle operazioni “Pedigree e Pedigree 2”, eseguite rispettivamente il 9 luglio 2020 e il 15 ottobre 2020, e ha permesso di disarticolare ulteriormente la cosca di ‘ndrangheta Serraino operante nei quartieri di San Sperato, nelle frazioni Arangea e Gallina, nonché nel comune di Cardeto e nelle aree aspromontane della provincia di reggina.
In particolare è stato accertato che Doldo e Russo facevano parte del sodalizio assieme a Maurizio Cortese, 41 anni; Stefania Maria Pitasi, 38 anni, moglie di Cortese; Paolo Pitasi, 69 anni, suocero di Cortese e padre di Stefania Maria Pitasi; Salvatore Paolo De Lorenzo, 50 anni; Antonino Filocamo, 33 anni; Daniele Filocamo, 31 anni; Antonino Barbaro, 35 anni; Carmelo Leonardo, 58 anni; Bruno Nucera, 53 anni; Domenico Sconti, 64 anni, genero di Francesco, inteso don Ciccio Serraino, “boss della montagna”; Sebastiano Massara, 35 anni; Domenico Morabito, 46 anni; Antonio Serraino, 41 anni, detto “Nino”, figlio del defunto Domenico Serraino [cl. ’45, detto “Mico”] e nipote del defunto Francesco Serraino classe 1929 alias “il boss della montagna”; Antonino Fallanca, 67 anni; Francesco Russo, 48 anni, detto Ciccio “lo Scalzo” o “’u Scazzu”, padre di Domenico cl. 99; Paolo Russo, 60 anni, detto “Zamburro” e Sebastiano Vecchio, 48 anni, detto “Seby”, tutti tratti in arresto con le precedenti operazioni di polizia.
Le indagini svolte dalla Squadra Mobile – sotto le direttive dei Sostituti Procuratori della Dda di Reggio Calabria Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo – si sono avvalse, in questa fase, anche delle dichiarazioni di alcuni soggetti tratti in arresto nelle precedenti operazioni, che nel frattempo hanno scelto di collaborare con la giustizia. Queste dichiarazioni, puntualmente riscontrate dalle attività tecniche di intercettazioni, hanno permesso di acquisire un grave quadro indiziario a carico degli odierni arrestati considerati dalla Dda partecipi, a pieno titolo, del programma criminoso della cosca Serraino, attiva nel settore delle estorsioni in danno di imprenditori e commercianti locali, nell’imposizione con violenza e minaccia di beni e servizi e nell’impiego dei proventi delle attività delittuose in esercizi commerciali nel campo della ristorazione (bar) e della vendita di frutta, intestati a compiacenti prestanomi allo scopo di eludere l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e il sequestro delle imprese ai sensi della normativa antimafia.
In particolare, l’indagine ha consentito di accertare che Francesco Doldo, pur non essendo stato formalmente battezzato, sarebbe di fatto un accoscato e fornirebbe al sodalizio un prezioso contributo rendendosi disponibile per conservare e custodire armi della cosca e mettendo a disposizione gli uffici della propria agenzia di assicurazioni per riunioni di ‘ndrangheta in cui sono state assunte importanti decisioni relative a fatti estorsivi e paventati progetti omicidiari ai danni di un esponente della cosca ritenuto avere rapporti ambigui con esponenti delle forze dell’ordine.
E’ emerso, ancora, che esisteva un rapporto di strettissima sinergia solidaristica tra Francesco Doldo e Francesco (Ciccio) Russo, inteso u “scazzu”, capo locale della cosca Serraino sino al suo arresto dell’ottobre 2020. Infatti, Francesco Doldo si sarebbe attivato: per individuare un’autovettura da destinare al trasporto dei familiari di Francesco Russo, ristretto in carcere dopo l’esecuzione dell’ordinanza custodiale emessa a suo carico nel procedimento Pedigree 2 e per ricercare somme di denaro, su sollecitazione di Domenico Russo, da destinare al pagamento delle spese legali in favore del detenuto Francesco (Ciccio) Russo, all’epoca esponente apicale della consorteria mafiosa.
Con riferimento, invece, a Domenico Russo, è emerso che avrebbe fornito, nel tempo, sistematica e fattiva collaborazione al padre Francesco Russo, classe 1973, detto “Ciccio lo scalzo”, che a sua volta era stato indicato dai collaboratori di Giustizia come storico componente della cosca Serraino con il ruolo direttivo in seno alla consorteria mafiosa di “capo società” che aveva presieduto i riti di affiliazione e che, dopo la sua recente scarcerazione nel 2017, aveva mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo della ‘ndrina Nino Serraino.
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