COSENZA Volge al termine il processo in corso al Tribunale di Cosenza e legato all’inchiesta “Villa Verde”, sul presunto “sistema” adottato per permettere ai boss di sfuggire al carcere attraverso false perizie mediche ottenute con la connivenza, secondo l’accusa, di medici, avvocati e pubblici ufficiali. Nella scorsa udienza, il Pm Stefania Cardarelli al termine di una lunga requisitoria aveva chiesto condanne pesanti per i quattro imputati. Per Luigi Arturo Ambrosio, medico, legale rappresentante della clinica “Villa Verde” sono stati chiesti 10 anni di reclusione; per l’altro medico Gabriele Quattrone 5 anni; nei confronti di Franco Antonio Ruffolo, psicologo in servizio nella clinica “Villa Verde” di Donnici l’accusa ha chiesto una condanna a 9 anni, infine per Caterina Rizzo, sposata con Antonio Forastefano, già capo dell’omonima cosca, è stata chiesta la pena a 4 anni e mezzo.
Questa mattina hanno discusso gli avvocati della difesa: i legali Nicola Rendace, Innocenzo Palazzo e Vincenzo Belvedere. L’avvocato Carlo Monaco, difensore di Franco Antonio Ruffolo, aveva già avuto modo di discutere nella precedente udienza. Nella prossima, e ultima udienza, è attesa l’arringa dell’avvocato Franco Sammarco, prima della pronuncia della sentenza. Anche oggi il collegio difensivo ha tentato di smontare le tesi accusatorie mosse dai collaboratori di giustizia sentiti come testi nel processo. «Lovato parla per sentito dire, i suoi discorsi sono pieni di “non ricordo”, imprecisioni, illogicità, non ripete in modo compiuto i fatti che si sarebbero verificati dal dicembre 2009 al marzo 2010», sostiene l’avvocato Rendace. «Per giungere ad una dichiarazione compiuta è stato necessario che il Pm contestasse ripetutamente l’interrogatorio perché Samuele Lovato non ricordava nulla», aggiunge il legale che precisa: «lui stesso (il riferimento è sempre al collaboratore di giustizia) dice di aver fatto da tramite, di aver portato Caterina Rizzo dal dottore Ambrosio, ma poi si smentisce quando afferma di non essere un semplice sodale ma addirittura il braccio destro di Antonio Forastefano e dunque membro importante della cosca». L’avvocato ha chiesto per la sua assistita l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” e in subordinazione ha ribadito l’assoluta contrarietà all’aggravante richiesto dal Pm, «perché la Rizzo semmai avesse agito, lo avrebbe fatto per aiutare il marito e non certo la cosca». «Si tratta – conclude – di una persona incensurata». Lunghissima l’arringa dell’avvocato Innocenzo Palazzo. «Il pubblico ministero nel corso della sua requisitoria ha ripercorso i fatti, ma non ha parlato del processo. Ha detto che si tratta di un procedimento per di mafia, ma non lo è. Nessuno deli imputati è un mafioso, nemmeno uno». Poi il riferimento agli elementi di prova. «Si parla di false certificazioni ma non c’è una cartella clinica: manca il corpo del reato». Anche l’avvocato Palazzo come i suoi colleghi cita alcuni episodi che a suo dire mostrerebbero la scarsa credibilità dei collaboratori di giustizia Mantella e Lovato.
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