CATANZARO Si è chiusa ieri la parabola politica calabrese di Nino Spirlì (ripescato da Salvini per un impegno nazionale). In realtà era già finita venerdì scorso e gli osservatori più attenti avevano colto immediatamente i due segnali giunti dalla Cittadella regionale. Il primo, meno esplicito ma comunque significativo: il ritorno di Luciano Vigna nel palazzo dell’amministrazione regionale. Un rientro che potrebbe essere formalizzato in un ruolo ufficiale nella squadra del governatore Roberto Occhiuto. Vigna non ha ancora un incarico ma a volte, come si dice, basta la presenza. Perché l’ex capo di Gabinetto di Jole Santelli (ed ex assessore al Bilancio a Cosenza) è stato uno dei primi a cadere nello spoils system di Spirlì, che ha predicato fin dal principio la continuità con l’azione della compianta governatrice e poi – poco dopo il proprio insediamento da supplente – ne ha mandato a casa uno dei più stretti collaboratori.
Secondo segnale, molto più esplicito: Occhiuto ha declamato la bocciatura del governatore reggente “urbi et orbi” nel primo appuntamento pubblico dal giorno del proprio insediamento: «L’altro giorno ho partecipato alla Conferenza delle Regioni e, per esempio, sulle risorse che il governo deve dare per il Covid ho scoperto che la media delle richieste che le Regioni hanno fatto è di 130 euro ad abitante. La Regione che ha chiesto di più è l’Emilia Romagna con 170 euro mentre la Calabria ha chiesto solo 46 euro ad abitante. Se avesse chiesto 146 euro ad abitante avremmo avuto 200 milioni in più per la nostra sanità. In questo ultimo anno la Regione – ha aggiunto Occhiuto – è stata governata chiaramente a regime ordinario. Non c’era un presidente eletto, ai tavoli del Governo e delle Regioni è mancata l’autorevolezza di un presidente eletto direttamente dai calabresi». Due siluri per l’aspirante (ormai ex) beneficiario del ticket. Uno tecnico: la responsabilità politica per i 200 milioni “persi”, con tutte le conseguenze del caso su una sanità già boccheggiante, è tutta sua. L’altro simbolico: la «mancata autorevolezza» è sì da ascrivere all’ovvio (Spirlì non era il presidente eletto e per la verità non si era neppure candidato) ma forse anche a un approccio che non ha certo aiutato il facente funzioni a fare un salto di qualità istituzionale. Impossibile ricordare tutte le occasioni e gli scivoloni di Spirlì. Qualcuno, però, è degno di nota.
Ottobre 2020. Davanti alla platea di Catania, che vuole sentirsi dire “qualcosa di leghista”, Spirlì non esita e dà sfoggio del proprio repertorio di intolleranza verbale. «Io parlo calabrese e dico “Mamma, passau u nigru pe mò si pigghia…“, perché in calabrese non si può usare un altro termine. E nessuno può venirmi a dire che io, come minoranza calabrese, non posso utilizzarlo. E nessuno mi può vietare di utilizzare la parola “ricchione” accusandomi di essere omofobo. «Ci stanno cancellando le parole di bocca, come se dire “zingaro” sia già un giudizio negativo. Con “negro” è la stessa cosa, perché in calabrese dico “nigru” per dire negro, non c’è altro modo». Il resto è una summa di pensiero reazionario («avete mai visto due uomini che si sposano, un bambino con due padri o con due madri?») con esibizione finale di un rosario «che mi hanno regalato le suore» non prima, però, di dire che «userò le parole “negro” e “frocio” fino all’ultimo dei miei giorni. Che fanno, mi tagliano la lingua per impedirmelo?».
Materiale per la riuscitissima macchietta disegnata da Maurizio Crozza, ma non solo. Come ha scritto il compianto Enrico Fierro per il Corriere della Calabria, Spirlì non è una maschera comica ma «un politico a tutto tondo. Un leghista vero. Un sincero ammiratore del fascismo» che parla (o prova a parlare) «alle viscere più profonde della società. Ai calabresi del “rutto libero”». Inevitabile che il suo profilo non si sposi con quello che Occhiuto ha disegnato come un governo regionale moderato e non urlato. Più meritocrazia, meno chiacchiere social su “pipi e patati”.
Il vero Spirlì – non quello che blandisce i propri followers sulle leccornie della gastronomia calabrese mentre esibisce i ninnoli di casa – si è visto (anche) nella reazione scomposta davanti a una domanda del Corriere della Calabria. Innervosito da una contestazione dei lavoratori delle Terme Luigiane durante una visita di Salvini a Cosenza, l’allora governatore reggente è esploso: «Mi stanno riprendendo (sic!) il Corriere della Calabria, che mi attacca tutti i giorni, eccolo là. Le risposte ai lavoratori non le do certamente attraverso il Corriere della Calabria – dice Spirlì avvicinandosi alla telecamera – le do nelle sedi istituzionali». Sorvoliamo per il momento sul fatto che le risposte non siano arrivate neanche nelle sedi istituzionali e torniamo alle ragioni di quel disagio.
A Spirlì pareva intollerabile che Salvini potesse vedere con i propri occhi che la Calabria gestita da un leghista non fosse il sogno che gli era stato presentato. Ecco il problema: lo scarto tra la narrazione e la realtà. Nel suo storytelling Spirlì è il vicepresidente di un ticket inattaccabile. Nella realtà è fuori dalla giunta perché ha la responsabilità politica di una mancata moltiplicazione che ha sottratto 200 milioni alla sanità più disastrata del Paese. Altro che “pipi e patati”.
x
x