LAMEZIA TERME «Non capisco perché si parli sempre di eccellenze, io preferisco chiamarle competenze e in Calabria non mancano. La particolarità dell’oncologia medica è quella di dover concatenare queste competenze al fine di costruire una rete, di diagnosi e terapie, come unico percorso sicuro a cui il paziente può affidarsi». A parlare è Vito Barbieri, direttore di Oncologia dell’Azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro. Si tratta del secondo ospite di “Salute e Sanità” programma de L’altro Corriere Tv – in onda questa sera alle 21 sul canale 16 – che affronta uno dei temi più cari ai calabresi “l’attuale stato di salute della sanità regionale”. L’oncologo dirige uno dei reparti clinici più complessi, trattare i malati di tumore significa gestire le lunghe trafile a cui bisogna sottoporre i pazienti per giungere a precise diagnosi, programmare i vari cicli di cure fissate da rigorosi protocolli e tenere sotto controllo l’intero percorso terapeutico, singolare per ogni caso. Sul come diminuire l’incidenza della mortalità e individuare per tempo le terapie migliori Barbieri non ha dubbi: «Bisogna seguire una sequenza di procedure e impegnare specifiche “competenze” in modo lineare. Solo creando una concatenazione di esami, referti, nuovi esami e infine diagnosi si può dare un nome e cognome alla tipologia di cancro e aggredirlo con il farmaco più efficace». Il direttore di oncologia del Pugliese Ciaccio parla di una “rete oncologica Calabria“, un vero e proprio percorso guidato per il paziente (di cui sono dotate altre regioni in Italia, ma, ancora, non tutte) vagliato in Calabria nel 2015. «Da quel momento “la rete oncologica” con un graduale iter avrebbe dovuto costituire dei punti di accesso alle cure per i singoli casi – afferma Barbieri – e avrebbe dovuto varare dei “Pdta” (percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) per ogni neoplasia, ma col susseguirsi dei commissari alla sanità l’iter non si è concluso. Ad oggi – ha specificato – mancano gli atti della Regione per definire dei percorsi assistenziali». Dunque c’è una strada tracciata per facilitare il trattamento dei malati oncologici, ma al momento non si può intraprendere del tutto e solo una buona manovra burocratica della Regione la potrebbe riattivare, modificando, concretamente, la condizione, dei malati di tumore in Calabria. La spiegazione di Barbieri è chiara, una prognosi migliore in caso di cancro si può avere con la giusta programmazione di esami diagnostici e ovviamente con «apparecchiature sofisticate che riescono ad analizzare i geni mutati all’interno delle cellule malate, individuando farmaci mirati per ogni tipo di neoplasia». Anche da questo punto di vista la Calabria ha ancora diversa strada da fare: «Spero che presto nel mio ospedale – ha continuato Barbieri – potremo avere ulteriore strumentazione, ancora più sofisticata di quella di cui siamo già dotati, che ci agevoli nelle diagnosi e nelle prognosi. Nel nostro campo prescrivere farmaci mirati può fare un’enorme differenza».
I calabresi lasciano spesso la propria terra per motivi diversi. Uno tra tutti, che d’altra parte costa alla Regione Calabria circa 300 milioni di euro l’anno, è la ricerca di “una sanità migliore” altrove, molte volte al Nord (Lombardia, Emilia Romagna e Lazio in pole position). Sarebbe problematico analizzare uno per uno i fattori che portano i calabresi a curarsi fuori regione, ma Barbieri fa una primaria distinzione del tutto significativa. «C’è chi migra per necessità e chi lo fa per scelta – afferma l’oncologo – se il tipo di tumore diagnosticato è raro o richiede interventi molto complessi, andare via dalla Calabria è la scelta migliore, perché solo alcuni centri specialistici possono trattare al meglio patologie che non si presentano di frequente. Per il sarcoma – fa un esempio – ci sono solo 2 o 3 centri in tutta Italia». Questi per Barbieri sono i malati che non hanno scelta e che solo emigrando trovano la garanzia di ricevere terapie adeguate. Lo stesso discorso non vale per chi si ammala di neoplasie comuni, trattate allo stesso modo in ogni struttura sanitaria. «Chi si ammala di tumore alla mammella – evidenzia Barbieri – dovrebbe preferire di ricevere le cure in Calabria, in questo modo può essere agevolato anche nella gestione del post operatorio e del follow up che verrà dopo».
Il cancro fa ancora paura e le diagnosi di neoplasie talvolta diventano previsioni funeste per il futuro dei pazienti, ma chi tratta, studia e combatte le patologie oncologiche, come il professor Barbieri, designa un quadro migliore rispetto al passato. «Ad incoraggiarmi è la gestione da parte degli oncologi delle innovazioni terapeutiche. Queste – rassicura il medico – ben applicate aumentano la sopravvivenza dei pazienti affetti da neoplasie». Spina nel fianco della ricerca oncologica è il tumore metastatico, al momento la forma di cancro più difficile da trattare e che fino a un decennio fa diventata una vera e propria sentenza di morte. A riguardo Barbieri argomenta: «Ci sono speranze di miglioramento anche per i malati di tumore metastatico. Una forma di patologia – prosegue – che ha un evoluzione rapida e un’attesa di vita troppo breve al momento viene trattata con alcuni farmaci innovativi – fa l’esempio dell’immunoterapia – dando risultati incoraggianti rispetto al passato. Secondo l’oncologo del Pugliese siamo davanti ad un fenomeno nuovo, in quanto per la prima volta nella medicina una quota di pazienti (che varia dal 20, al 30 e al 40 per cento) sopravvive e non ha ricadute nei primi 5 anni. Quando arriveremo a questi risultati nei primi 10 anni – continua Barbieri – potremo dire che dai tumori metastatici si può guarire». Sull’incidenza della mortalità dei tumori in generale si sono fatti diversi passi in avanti, come documenta l’Istat: il 65 per cento delle donne e il 59,4 per cento degli uomini che si ammala di cancro è vivo a cinque anni dalla diagnosi. Sulle cause della comparsa di una neoplasia in un organismo, però, non c’è una risposta univoca, e come spiega Barbieri «l’alterazione cellulare che porta poi al cancro di solito è l’origine di un processo molto lungo, e che per la maggior parte del tempo è rimasto invisibile». Se il momento in cui si scatena la patologia diventa difficile da riconoscere (perché avviene, appunto, in modo asintomatico) c’è un solo modo per affrontarla per Barbieri, ovvero con gli screening e con gli esami di prevenzione.
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