REGGIO CALABRIA L’indagine “Doppio sgarro” ha all’origine una scia di sangue che porta fino ad alcuni degli odierni indagati. Al centro, i gruppi di ‘ndrangheta operanti nella vallata dello Stilaro. Sono in tutto 15 le persone finite sotto la lente della Dda di Reggio Calabria, 9 quelle attinte dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giovanna Sergi ed eseguita dai carabinieri di Reggio. Secondo quanto ricostruito dalla procura guidata da Giovanni Bombardieri, nell’attività del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dei magistrati Domenico Cappelleri e Simona Ferraiuolo (oggi a Milano), al centro dell’inchiesta ci sarebbe una nuova “locale” di ‘ndrangheta con cuore pulsante nel territorio di Stilo, «riconducibile al così detto “Mandamento Ionico”», come recita la relazione prefettizia del 14 febbraio 2019 che ha portato allo scioglimento del Comune.
Le ipotesi di reato conteste oggi vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso fino a una lunga gamma di reati-fine, dalle minacce e danneggiamenti fino alla detenzione illecita e al traffico di stupefacenti.
Il gruppo risulta federato alla famiglia Taverniti di Gerocarne, nel Vibonese, e farebbe capo al 67enne Fernando Spagnolo. Quello descritto dagli odierni inquirenti, almeno in questa fase preliminare, come «vertice della “locale” di Stilo» risulta irreperibile proprio dal 2019, anno in cui viene condanna all’ergastolo (lo scorso settembre divenuto definitivo) per l’omicidio di Marcello Geracitano risalente al 16 gennaio 2005. Sette anni dopo, il 16 luglio 2012 in località “Casermette” (nel comune di Bivongi) verrà invece ucciso Giuseppe Gerace e ferito Giuseppe Geracitano. Collante di questi due fatti – oggetto di separati procedimenti – pare essere proprio Spagnolo. Da lì gli inquirenti traggono spunto fino ad arrivare all’indagine odierna. Insieme a lui finiscono indagati il figlio Ilario Spagnolo, già noto agli inquirenti, e il nipote Gesen Spagnolo, formalmente gravato da un solo precedente, ma già affiliato con il grado di “Picciotto d’onore”. Oltre a loro risultano Davide Spagnolo e Giuseppe Furina, genero dello stesso Fernando Spagnolo.
Nel ricostruire la geografia criminale della vallata dello Stilaro, gli inquirenti prendono spunto anche da alcune dichiarazioni del “Padrino”, oggi collaboratore di giustizia, Antonino Belnome, del quale sarebbero noti i «rapporti personali» e «diretto vissuto» col trio composto da Andrea Ruga, Vincenzo Gallace e Cosimo Leuzzi. Proprio il gruppo “Ruga-Gallace-Leuzzi” risulta operante in quella zona come tra l’altro chiarito da una serie di procedimenti quali “Brunero” di fine anni 80, “Stilaro” di una decade più tardi e la più recente “Confine”. «L’esistenza e l’operatività della ‘ndrangheta nella vallata dello Stilaro – riporta il gip – e il ruolo apicale che nella compagine mafiosa aveva acquisito la famiglia dei Ruga di Monasterace costituisce, quindi, un dato ormai conclamato giudizialmente». A Cosimo Leotta era stata data la dote di “Vangelo” e proprio nei locali di sua proprietà, anche durante le “mangiate”, si sarebbero svolti una serie di rituali di affiliazione. Altra figura attenzionata dagli inquirenti è quella di Domenico Candido, ritenuto «uomo di fiducia» del boss Andrea Ruga. Tra le odierne accuse c’è anche quella di aver incaricato Cosimo Panetta, anche lui tra gli odierni indagati, a sparare nel febbraio 2018 l’auto del nipote Vincenzo Sorgiovanni. Quest’ultimo, all’epoca consigliere comunale di minoranza del Comune di Stilo.
Il gip riconosce un particolare «dinamismo criminale» della ‘ndrangheta in quella porzione di regione, interessata «a garantirsi il controllo del territorio con la solita metodologia delle imposizioni e dei condizionamenti violenti anche all’attività amministrativa pubblica», come ne sono dimostrazione i diversi episodi narrati nell’indagine che vedono come indiretto protagonista l’allora sindaco Giancarlo Miriello, vittima anche di un’intimidazione proprio a seguito dell’adozione della “linea dura” riguardante gli allacci abusivi alla rete idrica. Si tratterebbe dunque di un gruppo caratterizzato dalla «prepotenza mafiosa che impone le proprie regole e opprime la popolazione con la violenza». Gli inquirenti riescono così, sempre nelle parole del gip, a «fotografare la tracotanza di una ‘ndrangheta che non ammette espressioni di ribellione e men che meno di titubanza». Si parla di «spavalderia criminale» di cui il procedimento si incaricherà l’eventuale attribuzione «a soggetti ben determinati, a carico dei quali può dirsi raggiunto un quadro di gravità indiziaria pieno e inequivoco».
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