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Rinascita Scott, i pentiti su Pietro Giamborino. «Malandrino», «uomo d’onore» e «invisibile»

Nel troncone cosentino del processo, vengono escussi i collaboratori Arena, Moscato e Mantella. «Lo abbiamo costruito noi» e «uno è ‘ndranghetista per sempre, come i diamanti»

Pubblicato il: 31/05/2022 – 17:30
di Fabio Benincasa
Rinascita Scott, i pentiti su Pietro Giamborino. «Malandrino», «uomo d’onore» e «invisibile»

COSENZA Si è svolta, al Tribunale di Cosenza (Presidente Carmen Ciarcia, a latere Iole Vigna e Urania Granata), una nuova udienza del troncone “cosentino” del processo scaturito dall’operazione denominata “Rinascita Scott” e che vede tra gli imputati gli ex consiglieri regionali Nicola Adamo e Pietro Giamborino e Filippo Valia, nipote di Giamborino. L’accusa nei loro confronti è di traffico di influenze illecite perché, in concorso tra di loro, avrebbero cercato di influenzare il corso di una causa davanti al Tar avente ad oggetto l’aggiudicazione di alcuni lavori di messa in sicurezza nel vibonese. In particolare, Pietro Giamborino, attivato dall’imprenditore e dal nipote, avrebbe interpellato Nicola Adamo affinché intercedesse con un giudice del Tar. In cambio ad Adamo sarebbero stati promessi 50mila euro. In aula sono stati escussi tre collaboratori di giustizia: Raffaele Moscato, Bartolomeo Arena e Andrea Mantella.

«Giamborino era un malandrino»

Il primo teste chiamato a deporre è Raffaele Moscato. Dal sito riservato, il collaboratore di giustizia ripercorre la carriera criminale. La decisione di pentirsi arriva nel 2015, prima colleziona una serie di reati in qualità di ex affiliato alla cosca dei Piscopisani di Vibo Valentia. Prima picciotto, poi sgarro, camorrista, santa e vangelo (gradi ottenuti nel carcere di Frosinone). Sollecitato dalle domande del pm, Moscato riferisce quanto di sua conoscenza in merito a Pietro Giamborino. «Favoriva i Piscopisani – riferisce il collaboratore – Giamborino era un malandrino, io sono stato battezzato e conosco i nomi di tutti i malandrini». Sui presunti legami dell’imputato con la cosca, Moscato sottolinea: «Rosario Battaglia mi parlò degli appalti e disse che Giamborino si metteva a disposizione. A Piscopio non prendi voti così, non si parla di una votazione spontanea ma di una imposizione». «Battaglia – aggiunge – mi diceva che era a disposizione, ne parlava come un malandrino, non come una vittima». L’avvocato dell’ex consigliere regionale chiede al teste se ricorda se Giamborino avesse vinto le elezioni nel 2010. «Non so», risponde Moscato che aggiunge particolari sulla raccolta voti della cosca in favore dei politici. «Quando serviva il voto chiamavo zii, cugini e parenti e dicevo chi votare anche i miei amici e davo i santini, senza pagare. Io non ho mai votato».

«Giamborino? Un uomo d’onore»

Bartolomeo Arena, collaboratore di giustizia, ha sempre «navigato nella criminalità anche da non affiliato». «Ho iniziato da ragazzino, sparando ad alcune saracinesce, tagliando gomme e poi anche qualche tentato omicidio», aggiunge. «Ho cominciato con un cugino di Mantella, poi con il clan Lo Bianco-Barba ma ad introdurmi nella cosca Pardea-Ranisi fu Domenico Camillò». Il padre di Bartolomeo Arena, Antonio, fu vittima di lupara bianca nel 1985, era un uomo di ‘ndrangheta. «In quegli anni eravamo i perdenti», confessa il pentito al pm Andrea Mancuso. «La costituzione del mio gruppo avvenne nel 2012, vengo affiliato a casa mia e mi è stata la camorra. Del gruppo faceva parte mio zio Domenico Camillò, Raffaele Grande, Antonio Macrì, Raffaele Pardea e Vincenzo Barba (che si trovava ai domiciliari)». Il gruppo si occupava di tutto: usura, estorsioni, traffico di droga e danneggiamenti. «Io avevo un ruolo apicale». In merito alla figura di Rosario Battaglia, Arena dice di averlo conosciuto «quando era piccolo». Su Moscato, invece, sostiene di non averlo mai conosciuto ma di aver frequentato il padre «amico della mia famiglia». Bartolomeo Arena continua il racconto. «Mio nonno, Vincenzo Pugliese Carchedi, aveva rapporti con i Piscopisani» e quanto il pm chiede di Pietro Giamborino, partono i flash back. «Ricordo che nel 2003 siamo andati a trovarlo con Domenico Camillò per un posto di lavoro per mio cugino. Giamborino aveva lo studio nei pressi di piazza Morelli e si mise a disposizione. Trovò il lavoro in un’azienda di porte blindate. Non sapevo che era un uomo d’onore e mio zio mi disse “Pietro è un uomo d’onore della società di Piscopio”. Stessa cosa mi disse mio nonno, Giamborino era “intraneo alla ndrangheta”». «Mio nonno – continua Arena – lo aiutò a non fargli fare il militare e Giamborino si mise a disposizione quando mio nonno gli chiese un posto per un altro cugino». «Lo sapevano tutti che Giamborino era un uomo d’onore – riferisce il pentito – e lo rispettavano come tale. La ‘ndrangheta vibonese glie aveva portato i voti».Secondo il collaboratore: «Tutte le ‘ndrine di Vibo l’avevano votato e fatto votare, un appoggio elettorale. Oltre a uomo d’onore era un personaggio della politica, una garanzia per la ‘ndrangheta. Io stesso votavo quella coalizione per via della mia amicizia con Vito Pitaro, votavo a sinistra tranne una volta che votai a destra ma sempre perché c’era qualcuno da fare salire che poi si metteva a disposizione». Ne controesame l’avvocato Belvedere chiede lumi sulla figura di Pitaro. «Senz’altro negli ultimi periodi -dice Arena – Vito Pitaro fu avversario di Giamborino, ma alla fine avvocato». Tocca sempre al legale della difesa sollecitare i ricordi del collaboratore. «Il padre di Giamborino era nei Piscopisani, prima della divisioni in due consorterie. Non so quando hanno affiliato Pietro Giamborino, penso negli anni 70-80, ma se ha partecipato al nuovo locale non saprei dire». «I rapporti con gli associati però li aveva – chiosa Arena – con Rosario Battaglia si metteva a disposizione. D’altronde (Arena si rivolge al pm) «uno è ‘ndranghetista per tutta la vita, per sempre come i diamanti».

«Giamborino costruito per essere un invisibile»

Dal sito riservato, Andrea Mantella ricorda i motivi che lo spinsero a pentirsi «a fine pena, signor presidente a fine pena. Lo ascolti bene». Nel 2003, dopo una lunga detenzione, «vengo fuori con un appoggio militare dei Giampà di Lamezia terme. Sono stato ripudiato dai miei familiari e sono orgogliosamente solo e pentito». Mantella confessa di essere stato a capo del «suo» gruppo criminale insieme a Francesco Scrugli, Domenico Bonavota e Salvatore Mantella». «Scrugli era un sanguinario, un braccio armato e abbiamo scontato tanti anni di carcere insieme per l’omicidio di Alessandro Manco, poi nel 2003 sono tornato libero». Sul «nuovo» locale dei Piscopisani, Mantella sostiene: «E’ stato riconosciuto da mamma ‘ndrangheta, prima c’era il vecchio locale con dentro anche i Giamborino». «Ogni ricorrenza – ricorda Mantella – il mio ex capo non apriva la bottiglia di champagne se prima non veniva Fiore Salvatore Giamborino. In una occasione vidi anche il nipote di Fiore, Pietro Giamborino che è stato un riservato della ‘ndrangheta». Sul punto il pm chiede chiarimenti. «Lo conosco sul finire anni 80′, lo vedevo in compagnia dello zio nelle feste comandate nell’abitazione di Carmelo lo Bianco. L’ho conosciuto come ‘ndranghetista, ma è stato costruito politicamente per essere un invisibile». E Mantella cita un episodio. «Il mio gruppo posiziona una bomba in una parrucchieria a Vibo per chiedere l’estorsione e Giamborino interviene per mezzo di Saverio Razionale (numero due del locale di San Gregorio d’Ippona) – ex mio compare – e mi dice se potevano desistere dalle nostre intenzioni perché interessava ad uno dei nostri». «Giamborino non è un delinquente così, ma un massonafioso che va in giro in giacca e cravatta, qui ci spostiamo di livello. La ‘ndrangheta è cambiata». Secondo Mantella, nelle elezioni del 2003 «tutta la ‘ndrangheta si sposta e vota unitariamente Giamborino» perché «si sperava di buttarlo dentro». Il collaboratore di giustizia cita un altro episodio. «Nel 2009, chiesi a Saverio Razionale di parlare con tale Pellegrino perché mi doveva mettere dei camion per la spazzatura ingombrante e farmi guadagnare nella raccolta rifiuti e grazie a Giamborino ho messo due o tre ingombranti». Sempre Saverio Razionale – che Mantella definisce in aula «il Leonardo da Vinci della ‘ndrangheta, il più inteligente», nel 2004, «disse che si doveva votare e bisognava raccogliere voti per l’amico nostro: Giamborino». L’ex consigliere regionale, secondo il pentito «aveva entrature politiche ed era utile per allungare i tentacoli della ‘ndrangheta nelle istituzioni». Il pm poi chiede lumi sulla figura di Giuseppe Galati detto “il ragioniere”. «Ha fatto parte del vecchio e del nuovo locale di Piscopio e se non ricordo male è cugino di Pietro Giamborino». A chiudere l’esame del teste è l’avvocato Belvedere. «Giamborino era disponibile solo nei suoi confronti?» chiede il legale e Mantella risponde: «non solo con me, anche con Gregorio Gioffèe e con i Mancuso perché era la mucca da mungere per la spazzatura a Vibo Valentia. L’abbiamo costruito noi», chiosa il pentito.

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