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«Io sto dalla parte di Antonino Scopelliti»

“Non l’avevano potuto controllare”, e comunque “in ogni caso non era persona contattabile”; e quando un magistrato non può essere controllato, quando non può essere contattato, la sua condanna a m…

Pubblicato il: 09/08/2022 – 16:18
di Antonio Viscomi*
«Io sto dalla parte di Antonino Scopelliti»

“Non l’avevano potuto controllare”, e comunque “in ogni caso non era persona contattabile”; e quando un magistrato non può essere controllato, quando non può essere contattato, la sua condanna a morte arriva inesorabile, tanto ieri quanto ancora oggi.
“Persona non contattabile”, è proprio in questo tratto caratteristico, e nella oggettiva connessione con il maxiprocesso palermitano, che il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ha individuato, fin da subito, la ragione di fondo della terribile esecuzione del 9 agosto 1991 del giudice Antonino Scopelliti, primo magistrato di Cassazione ad essere ucciso dalla volontà convergente di mafia siciliana e ‘ndrangheta calabrese.
«Troppo grande – scrivono i giudici della Corte di assise di Reggio Calabria nella sentenza del 1996 – troppo grande sarebbe stato il danno di immagine derivante dalla percezione di una mafia perdente nelle aule giudiziarie».
D’altronde, che Antonino fosse «persona non contattabile» i mafiosi lo sapevano fin troppo bene, avendone saggiato, almeno nei processi Chinnici e Basile, le doti personali e professionali, e avendo potuto prendere atto, in più occasioni, dell’aperto contrasto con l’approccio allora usuale della prima sezione penale della Corte di Cassazione, apparentemente garantistico ma in realtà formalistico come sempre capita quando, per usare le stesse parole scritte dal giudice in un saggio del 1975, «il cavillo fa aggio sul diritto».
Non si faccia però l’errore imperdonabile di confinare l’esperienza professionale di Antonino Scopelliti nell’esclusiva area del contrasto alla criminalità organizzata. Basti considerare che più di mille e cinquecento furono i processi seguiti nel solo periodo passato in Cassazione e fra questi anche i maggiori processi per terrorismo: a partire – per citarne solo alcuni – dalla strage di piazza Fontana, passando fra l’altro per i processi Moro, Tobagi ed Occorsio, fino alla strage di piazza della Loggia a Brescia e dell’Italicus.
Dall’osservatorio indubbiamente privilegiato offerto dalla Corte di Cassazione, Antonino Scopelliti è stato dunque veramente al centro delle grandi e intricate vicende che hanno intessuto le trame della vita collettiva del nostro paese. E da questo osservatorio ha potuto maturato un’idea di politica giudiziaria che ancora oggi merita di essere condivisa.
Segnalo solo due profili di interesse. Il primo è che senza organizzazione non vi è giurisdizione. Scriveva nel 1975: «La giustizia è in crisi… (ma) sotto processo (sommario) oggi è unicamente il Giudice. (E tuttavia) la macchina della Legge non funziona perché l’intero apparato burocratico non funziona. Tribunali superflui, Preture inutili. Ci sono i giudici – e sono anche tanti – ma mancano le attrezzature tecniche, gli ausiliari»; una organizzazione non adeguata rende “vittima” – cito le sue parole – «il cittadino qualunque, indifeso e impotente». Il secondo è che ragione e senso della giurisdizione stanno nella Costituzione. Scriveva nel 1987: «Non dovrebbe dimenticare il giudice che nell’esercizio del potere giurisdizionale non ha che una linea da seguire ed è quella indicata dalla Costituzione … Il giudice che opera al di fuori o va oltre e non realizza questo messaggio finisce inevitabilmente per tradire l’unico vero ruolo «politico» che il suo mandato gli attribuisce».
Il giudice, se tale è, se cioè non è contattabile, è sempre solo, non può che essere solo nell’esercizio della sua funzione, «solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi». Ma proprio per questo «il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso».
Essere solo è dunque parte costitutiva dell’essere giudice. Essere solo, Presidente, non essere isolato. A ciascuno di noi il compito di impedire che la solitudine necessaria del giudice si trasformi in isolamento. Per questo, alla domanda: tu, da che parte stai? credo che la risposta migliore sia: io sto dalla parte di Antonino Scopelliti.
Grazie.

*deputato

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