Il sindaco di Platì Rosario Sergi era incandidabile. Lo ha confermato con una ordinanza la Corte di Cassazione che ha rigettato il ricorso presentato dal primo cittadino del centro aspromontano il cui Comune fu sciolto nel 2018 per infiltrazioni mafiose. Con il decreto del 9 ottobre 2018, il Tribunale di Locri dichiarava che Sergi «non poteva essere candidato alle successive elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali nel territorio della Regione e lo condannava alla rifusione delle spese di lite, rilevando che dalla relazione del Prefetto di Reggio Calabria era emerso chiaramente il riferimento all’ex sindaco Sergi, quale figura apicale dell’Amministrazione, ad ingerenze esterne ed in parte asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio. Tanto inferiva il Tribunale anche avuto riguardo allo scenario di cattiva gestione della cosa pubblica da parte del Sergi».
Il primo cittadino, si legge nell’ordinanza, era stato anche considerato dalla Corte d’Appello «incapace di svolgere il proprio ruolo di controllo e vigilanza anche sugli appalti e sulle pratiche di rilascio di titoli concessori, avendo costui trascurato l’adozione di misure volte alla salvaguardia del territorio ed alla gestione dei beni confiscati, ambiti comunque rientranti nella sfera di controllo del sindaco». Secondo la Corte di appello, infatti, ai fini della fondatezza della proposta di incandidabilità, come ritenuta dal Tribunale, non occorreva «la prova di un ruolo collaborativo dell’amministratore nelle dinamiche delle associazioni criminali, essendo invece rilevante anche un ruolo meramente passivo, che abbia comunque reso l’Amministrazione permeabile alle organizzazioni delinquenziali, o la mancata assunzione di un chiaro distacco da prassi ambigue, favorenti la diffusione e proliferazione del malaffare e da soggetti segnalati o inquisiti dalle forze dell’ordine come dediti all’illecito». La prefettura di Reggio Calabria ha, dunque, intimato al presidente del consiglio comunale di Platì di convocare il consiglio al fine di deliberarne la decadenza. (m. r.)
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