Prima di investire di eroismo il rimanere al Sud, è bene chiedere a chi sia in procinto di andare: “perché lo fai?”
Se vai via perché sei curioso di sapere del mondo, vai, non stare al Sud. Se hai voglia di farti i fatti tuoi. Se vuoi scalare l’Everest. Finire i tuoi giorni nell’ultima tribù selvaggia dell’Amazzonia. Vai, non stare al Sud, se la tua vita è nei piedi, nel movimento. Se vuoi vivere un sogno e sei disposto a rincorrerlo in capo al mondo. L’immobilità non è un dovere, una missione, forse per questo, teneramente, si dice: la vita è un viaggio.
Non è che ci sia un obbligo a rimanere nei luoghi della nascita. Bisogna averne la voglia. E se la voglia di non spostarsi sia talmente potente da far vivere la partenza come una prepotenza, un’ingiustizia. A chi non vorrebbe andare, bisognerebbe raccontare una storia diversa da come finora è stata raccontata, ad esempio aiutando a capire quando l’obiettivo che si voglia conseguire, sia realizzabile in loco.
Si va via a volte per motivi di studio che le nostre università potrebbero soddisfare meglio di atenei di altrove, o alla pari.
Si va via per cercare cure che in alcuni casi sono a portata di mano, in certi casi migliori da noi. In certi casi le cure sono addirittura semplici.
Si va via per prepotenze di malandrini, di gnuri, di politici, di burocrati. A volte sono prepotenze intollerabili e insuperabili. Altre volte sono le prepotenze che il modello economico e culturale che ci contiene cova in ogni luogo.
Si va via, più spesso, per cercare un lavoro, e dopo, a distanza di anni, si scopre che il lavoro che si è trovato ci ha tenuto sulla soglia della sopravvivenza. Che avremmo potuto sopravvivere così pure da noi, ma con il conforto di essere a casa nostra.
Vivere al Sud non è facile, se sei malato, se vuoi studiare, se il lavoro ti serve per vivere, se hai sogni. Ma in nessuna di queste condizioni, senza soldi, è facile vivere a qualunque latitudine. Partire e restare sono parole vuote, spesso figlie della retorica con cui qualcuno si riempie la pancia.
La dignità di un popolo sta tutta nella capacità di costruire un contesto in cui sia realizzata la scelta. E ognuno può partire o restare, a piacimento, e quello di cui si ha bisogno, volendo, lo si possa realizzare a casa propria.
La storia del Sud è una storia di abbandono forzato, per la maggior parte dei partiti. Per questo è un disastro. Un dolore inconsolabile. È stato un dividere la sorella dalla sorella, la figlia dalla madre, l’amato dall’amata.
Un’ingiusta cacciata. Una mandata al confino che prima ha allontanato i poveri con l’aiuto dei ricchi locali. Che ora si porterà via tutti, ricchi e poveri.
Se la propria terra scompare, muore, cessano i ragionamenti dell’andare e del rimanere. Rimangono solo le ragioni della lotta.
*scrittore
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