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Lotta ai clan

Operazione “Radici”, i clan calabresi padroni del litorale romagnolo – NOMI E VIDEO

I soldi dei Piromalli e Mancuso utilizzati per acquistare attività commerciali. Maccani: «Le mafie operano e lo fanno sotto traccia, senza rumore»

Pubblicato il: 26/10/2022 – 13:31
Operazione “Radici”, i clan calabresi padroni del litorale romagnolo – NOMI E VIDEO

BOLOGNA I clan calabresi avevano messo solide “radici” lungo il litorale romagnolo. Grazie ai fiumi di denaro disponibili dalle storiche cosche dei Piromalli e Mancuso erano riuscite ad entrare dalla porta principale dell’economia locale inquinandola. Milioni di euro reinvestiti dai clan per accaparrarsi interi settori economici del litorale, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria.
Le indagini condotte dal comando provinciale delle fiamme gialle di Bologna con la collaborazione del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (Scico) della Guardia di Finanza ha permesso di ricostruire analiticamente una serie di investimenti immobiliari messi in piedi da un gruppo di persone collegate in vario modo alle potenti cosche calabresi con le quali mantenevano saldamente i rapporti. Un’operazione denominata “Radici” che ha portato all’esecuzione di misure cautelari a carico di 23 persone e al sequestro di conti correnti, beni immobili e quote societarie per 30 milioni di euro circa tra le province di Roma, Milano, Brescia, Bologna, Monza, Modena, Piacenza, Forlì-Cesena, Reggio Emilia, Vibo Valentia e Reggio-Calabria. I provvedimenti sono stati emessi dal gip presso il Tribunale di Bologna Domenico Truppa su richiesta del sostituto procuratore Marco Forte della locale Direzione distrettuale antimafia.

Le indagini

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, gli investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena emergenza epidemiologica da Covid-19, hanno riguardato, nel tempo, esercizi commerciali ubicati principalmente lungo il litorale romagnolo e operanti in variegati settori economici, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria. Dopo mesi di complesse investigazioni è emersa la presenza nel territorio regionale di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da personalità di spicco, con propri interessi economici e, soprattutto, provvisto di legami con diverse famiglie e mandamenti della “casa madre” in Calabria, spesso menzionati nelle varie conversazioni captate. «Questa indagine conferma che in territori come quello dell’Emilia-Romagna le mafie esistono, le mafie operano e lo fanno sotto traccia, lo fanno senza chiasso, senza rumore. Le indagini hanno anche consentito di fotografare un fenomeno particolare, in sostanza questi soggetti ‘ndranghetisti operavano suddivisi in piccoli gruppi, quelle che possiamo definire piccole ‘cellule’, guidate da dei boss che assumevano la funzione di manager. Manager assetati di investimenti». A parlare è il comandante della Guardia di Finanza dell’Emilia-Romagna, il generale Ivano Maccani che ha descritto i contorni dell’operazione ‘Radici’


Grazie al ricorso a indagini tecniche, telefoniche e ambientali, oltreché all’esame di oltre un centinaio di rapporti bancari, è stato documentato un vorticoso giro di aperture e chiusure di società che, formalmente intestate a soggetti prestanome, venivano utilizzate come “mezzo” per riciclare denaro ovvero per consentire l’arricchimento dei reali dominus, il tutto mediante sistematiche evasioni fiscali perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, sovente preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali, con palese noncuranza delle possibili conseguenze in termini di procedure fallimentari.
Tali illeciti si sono consumati in un contesto criminale connotato da ripetuti episodi di intimidazione e minacce, oltreché, in alcuni casi, di vere e proprie violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati (o hanno tentato di farlo) di aderire alle richieste degli uomini dei clan.

Le persone coinvolte nell’inchiesta

In carcere:

Francesco Patamia;
Rocco Patamia;
Saverio Serra;
Giovanni Battista Moschella.

Agli arresti domiciliari:

Antonio Carnovale;
Gregorio Ciccarello;
Giuseppe Vivona.

Obbligo di dimora:

Domenico Arena;
Marcello Bagalà;
Giuseppe Maiolo;
Annunziata Gramendola;
Antonio Scrugli;
Alessandro Di Maina;
Rocco Gioffrè;
Leoluca Serra;
Michele Scrugli;
Massimo Antoniazzi;
Renato Brambilla;
Nicola Leo;
Giuseppe Sarto;
Alessandro Moraccini;
Claudio Grossi;
Federica Grossi.

Indagati a piede libero:

Claudia Bianchi;
Giorgio Giuseppe Caglio;
Gianluca Cannatelli;
Carmelo Forgione;
Giovanni Forgione;
Giuseppe Forgione;
Domenico Mancuso;
Eleonora Piperno;
Pietro Piperno;
Fabrizio Proietti;
Kundret Sullaj.

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