CATANZARO «Costituisce condotta antigiuridica per violazione dei doveri di servizio derivanti dal convenzionamento con il servizio sanitario nazionale la condotta della struttura sanitaria che richieda remunerazioni certamente non dovute in quanto eccedenti il tetto di spesa fissato per le prestazioni, in mancanza di ogni condizione di legge, e che successivamente – dopo il rifiuto di pagamento della Asp – consenta un’azione esecutiva contro la presunta debitrice cedendo i suoi presunti crediti ad una società di cartolarizzazione (che ha come fine proprio la riscossione dei crediti) cagionando il pagamento di somme eccedenti il tetto di spesa prefissato». È destinata a cambiare sensibilmente il sistema dei rapporti – spesso molto “drogati” – tra Regione, Asp e sanità privata in Calabria una massima della Corte dei conti regionale: la massima è fissata da una sentenza con la quale la sezione giurisdizionale della magistratura contabile calabrese ha condannato una casa di cura che, nel 2007, aveva sforato il tetto di spesa fissato nei suoi confronti dalla Regione rivendicando un credito certo ed esigibile nei confronti dell’Asp di riferimento e che poi aveva poi ceduto il credito a una società di cartolarizzazione, che a sua volta procedendo in via esecutiva contro la stessa Asp ha ottenuto il pagamento di somme non dovute.
Un “andazzo”, questo, quai all’ordine del giorno nella sanità calabrese, un “andazzo” che spesso è alla base del meccanismo infernale dei plurimi pagamenti che determina l’impennata incontrollata del debito commerciale della Regione: ora la Corte dei conti della Calabria con questa massima di fatto prova a mettere ordine nella “giungla” degli extrabudget e della cessione di crediti a società di cartolarizzazione. «I soggetti privati “accreditati” (diversamente da quelli “autorizzati”) dal Servizio sanitario nazionale – si legge nella massima della Corte dei Conti – sono veri e propri uffici dell’amministrazione sanitaria (incaricati di pubblico servizio), come del resto si desume dall’articolo 8-bis Dlgs 502/1992; infatti, essi non sono semplici fornitori di servizi, in un ambito puramente contrattualistico, sorretto da principi di massimo profitto e di totale deresponsabilizzazione circa il governo del settore, bensì sono soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di finalità di pubblico interesse e di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, sui quali gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della stessa pianificazione e programmazione della spesa.La compartecipazione all’attuazione dei fini dell’amministrazione si esplica nella stipula e nell’esecuzione delle convenzioni con le Asp, nelle quali – sulla base di una valutazione di convenienza delle parti (che possono anche rifiutare il convenzionamento) – si stabiliscono le prestazioni che ogni struttura deve rendere ed il tetto massimo di risorse ad esse destinato e quindi il contributo complessivo che ogni struttura fornisce al sistema sanitario, attuando a livello locale la programmazione regionale: in particolare, le parti concordano il tetto massimo che la struttura accreditata si impegna a rispettare, valevole anche per le prestazioni che potrebbero non essere integralmente previste dalla convenzione per la loro discontinuità, ma che comunque debbono rientrare nel budget approvato, vanificandosi altrimenti ogni programmazione».
Secondo la Corte dei conti «il dovere di rispettare le convenzioni (in specie la quantità e qualità della prestazione, e quindi i tetti di spesa) non ha una mera valenza di obbligazione civilistica, ma assume rilievo in funzione della tenuta complessiva del sistema sanitario e della concreta attuazione del diritto alla salute, in quanto ogni prestazione non in linea con la programmazione ed ogni “sforamento” del budget determina la distrazione delle (cospicue ma comunque) limitate risorse del Ssn dalle finalità e prestazioni programmate, mettendo a rischio il sistema complessivo e – in ultima analisi – il diritto alla salute di una parte della collettività a danno di un’altra: ad esempio, la sovrafatturazione (rispetto al tetto di spesa) delle prestazioni ospedaliere per interventi da parte di una struttura accreditata determina minori risorse a disposizione per la medicina di urgenza, o di altre strutture presenti sul territorio. Pertanto – proseguono i giudici contabili – il rispetto del tetto di spesa rappresenta un dovere di servizio, che deve ritenersi violato qualora si effettuino sovraprestazioni non previamente autorizzate e se ne ottenga il pagamento al di fuori delle ordinarie procedure amministrative o contenziose (in modo da consentire all’amministrazione di verificarne la debenza e di inserire nella propria programmazione le maggiori esigenze manifestate dalla struttura accreditata), specie con l’utilizzo doloso di strumenti che determinano un pagamento non programmato ed estemporaneo; e tale violazione può determinare (nella concorrenza degli altri requisiti di legge) una responsabilità amministrativa».
E poi – aggiunge la Corte dei Conti – «il diritto alla remunerazione delle prestazioni extra budget è condizionato al rispetto delle pattuizioni (in specie il tetto di spesa) stabilite in convenzione. In caso di superamento del tetto di spesa di struttura, il diritto alla remunerazione delle prestazioni extra budget è un diritto esistente “solo in astratto”, che presuppone la prova (di cui è onerato il creditore) non solo della previsione in contratto della possibilità di prestazioni extra budget e del relativo limite, ma altresì della sussistenza di risorse disponibili, che sono condizioni di esigibilità del credito; gli operatori sanitari, partecipando alla programmazione con l’adesione alla convenzione, liberamente accettano i limiti da essa derivanti (potendo scegliere di continuare ad operare nel settore come privati accreditati, anziché in convenzione con il Ssn), e si accollano anche il rischio di impresa della mancata remunerazione delle prestazioni extra budget, dovendo comunque rispettare il tetto di struttura loro fissato». In conclusione – riporta la massima dei giudici contabili – «costituisce causa immediata e diretta del danno la condotta della struttura convenzionata che ha preteso il pagamento di presunti crediti per prestazioni molto eccedenti il tetto di spesa prefissato convenzionalmente, in mancanza delle condizioni per il loro pagamento (crediti in realtà non certi, liquidi ed esigibili, anche perché riferiti a prestazioni extra budget allo stato incerte nell’an e nel quantum, in mancanza di “validazione”), e quindi – di fronte al rifiuto della Asp – ha ceduto i predetti asseriti crediti a una società di cartolarizzazione, che procedendo in via esecutiva contro la Asp ha ottenuto il pagamento di somme non dovute». (redazione@corrierecal.it)
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