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Ecco come si muore sul lavoro. Il “caso” di Luana D’Orazio in una tesi Unical

L’autrice è Ilaria Colombraro, cugina dell’operaia 22enne stritolata dall’orditoio a cui lavorava. Una morte bianca come quella di Roberto Morelli, «una tragedia senza senso»

Pubblicato il: 29/11/2022 – 7:02
di Fabio Benincasa
Ecco come si muore sul lavoro. Il “caso” di Luana D’Orazio in una tesi Unical

COSENZA «Luana era o meglio è mia cugina. Se oggi sono qui è perché devo tutto alla sua famiglia, alla mia famiglia. Lo devo a chi ha perso un caro senza motivo». A parlare al Corriere della Calabria è Ilaria Colombraro, cugina di Luana D’Orazio operaia 22enne stritolata dall’orditoio a cui lavorava in un’azienda tessile di Prato nel maggio del 2021. I titolari dell’azienda tessile di Prato hanno patteggiato la pena: due anni di reclusione a Luana Coppini, titolare della ditta e un anno e sei mesi per il marito Daniele Faggi, titolare di fatto. «Ci sono responsabilità, nulla accade per una fatalità», racconta Ilaria che ha conseguito la Laurea in Economia Aziendale e Management all’Unical con la tesi “Sicurezza sul lavoro, infortuni e morti bianche: il caso di Luana D’Orazio”. «Non c’è una spiegazione – aggiunge – ci sono solo delle responsabilità». Ilaria Colombraro insieme ad altri familiari di vittime sul lavoro ha partecipato alla presentazione del libro “Non si può morire di lavoro”, organizzata dalla Cgil di Cosenza.

Tesi sul “caso” Luana D’Orazio

Il caso di Roberto Morelli

«Non ci spieghiamo come fa a morire un ragazzo che scende da un camion e viene travolto da una balla. E’ una morta tragica e senza senso». Faticano a trattenere le lacrime, Gennaro e Domenico Morelli, fratelli di Roberto Morelli, 32enne di Cercola morto schiacciato da una balla di bottiglie di plastica pressate. Una delle tanti morti bianche che quotidianamente riempiono le pagine dei quotidiani di tutta Italia. Una media da mattanza: tre decessi al giorno. «Mandiamo un messaggio a tutte le imprese, rispettate le regole di sicurezza. Mio fratello è morto ed ha lasciato la propria famiglia senza un perché». «In questo libro ci sono tante storie, sono tutti legate da un finale tragico, è straziante», ripetono i fratelli Morelli. «Lo Stato deve far qualcosa, la giustizia pure – chiosa Gennaro Morelli – occorrono sanzioni rapide e condanne severe. Alle altre famiglie come la nostra distrutte da una morte sul lavoro chiedo di non soffermarsi sul risarcimento ma di battersi per ottenere giustizia».

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