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il processo

“Faccia da mostro”, l’attesa nella baracca a Montauro e le intercettazioni interrotte

Il racconto, in aula, di chi svolse l’attività ricognitiva sugli elementi raccolti sul conto dell’ex poliziotto calabrese

Pubblicato il: 08/12/2022 – 15:00
di Fabio Benincasa
“Faccia da mostro”, l’attesa nella baracca a Montauro e le intercettazioni interrotte

PALERMO Il Tenente Colonnello dei Carabinieri, Adolfo Angelosanto, in passato svolse a Catania attività ricognitiva di elementi già acquisiti sul conto dell’ex poliziotto di Montauro Giovanni Aiello alias “Faccia da mostro”. E’ lui uno degli ufficiali di Pg chiamati a testimoniare nel corso del processo, in corso a Palermo, sull’omicidio mai risolto dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci

Il clan Laudani e le dichiarazioni dei pentiti

L’ufficiale ricorda l’attività di indagine, delegata dalla procura di Catania dal 2012 al 2014, poi rendicontata qualche tempo dopo nell’ambito di un procedimento a carico di Giovanni Aiello. «E’ stata fatta una preliminare rivisitazione della attività investigativa di un procedimento della Dia di Caltanissetta nell’ambito della quale erano stati escussi alcuni pentiti oltre ad una attività intercettiva nella quale Aiello sarebbe emerso «come già appartenente alla Polizia di Stato e poi successivamente individuato come appartenente ai servizi segreti in rapporto con le famiglie di Cosa nostra». All’esito di tale attività, il teste parla di una ricognizione delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, in passato legati a Cosa Nostra.
Tra questi rilevavano le dichiarazioni di «Giuseppe Laudani e Giuseppe Maria di Giacomo, esponenti di spicco del clan, che parlarono di appartenenti di forze di polizia che in qualche modo erano a disposizione e facevano parte di una rete istituzionale a sostegno di Gaetano Laudani», fino al 1992 quando venne ammazzato. «Dopo l’analisi delle dichiarazioni – sostiene il teste – abbiamo riescusso Giuseppe Laudani e Di Giacomo nel giugno del 2012 e successivamente abbiamo sentito anche Consolato Villani», pentito in passato vicino al clan Lo Giudice, «che ha fornito elementi sui presunti rapporti tra Aiello e Laudani». A tal proposito, in un articolo del 2017 il Fatto Quotidiano riprende un passaggio della deposizione di Villani chiamato a testimoniare nel processo “Ndrangheta Stragista”. Al processo, il collaboratore di giustizia parla di Giovanni Aiello e lo definisce: «un mercenario, un killer gestito dai servizi segreti deviati insieme a Cosa nostra e alla ‘ndrangheta». «Vi siete fermati ai collaboratori o avete fatto altro?» chiede il pm al teste che risponde: «Abbiamo intercettato Giovanni Aiello, la moglie Ivana Orlando e Virginia Gargano».

La perquisizione e il «biglietto strappato»

L’ufficiale, sollecitato dalle domande, risponde ripercorrendo l’attività svolta. «Nel corso delle intercettazioni, a Gennaio 2014, fu fatta una perquisizione nell’abitazione di Ivana Orlando, delegata dalla procura di Catania e da quella di Reggio Calabria in cui furono ritrovati una serie di oggetti e documenti». Nel verbale di sequestro datato 11 febbraio 2014, sono contenute le annotazioni del materiale rinvenuto: «una serie di oggetti e documenti, una ventina di orologi e qualche contante», precisa il teste. Tuttavia chi si occupò della perquisizione riuscì a rinvenire «alcune ricevute di depositi di titoli per somme consistenti, una del valore di 45 milioni, un’altra da 550 milioni e una terza per 600 milioni di lire», non intestate ad Aiello. Ivana Orlando era legata sentimentalmente ad Aiello, «ma vivevano in abitazioni diverse». Che lavoro svolgeva Giovanni Aiello quando avete svolto l’attività investigativa? «Aiello viveva in quella che definivamo una baracca in riva al mare. Faceva attività da diporto e portava le persone a mare facendosi pagare». Dopo la perquisizione, gli investigatori avviarono l’attività intercettiva ma Aiello e la moglie «cambiarono atteggiamento». «I due soggetti non parlavano più, ma si scambiavano dei biglietti. Fu trovato un biglietto a casa di Aiello in cui faceva riferimento ad un appunto, con una data (gennaio 2014) ed una auto con targa milanese. Temeva che lo stessero controllando», aggiunge. Il testimone prosegue e aggiunge un particolare della perquisizione. «Abbiamo trovato un biglietto strappato dove si faceva riferimento alla ferita al volto di Aiello ed alla Sardegna».

L’intercettazione nella baracca

Le intercettazioni nella “baracca” di Aiello cessano il primo giugno 2010, salvo poi essere riattivate il 21 settembre. Aiello contatta un suo amico, tale Giovanni Carrara, e concorda un appuntamento nella sua “baracca” a Montauro. «Quando captaste la telefonata con cui Aiello diede appuntamento a Carrara chiedeste l’attivazione di un decreto di attivazione di urgenza per captare a livello ambientale quell’incontro?», chiede il legale del poliziotto Agostino, l’avvocato Repici. «Non è una cosa così semplice attivarsi per andare a mettere di nuovo, bisogna predisporre tutto un servizio», risponde il teste: l’ispettore in servizio alla Dia di Caltanissetta Pietro Ganci. «C’è stato un tentativo che non è andato a buon fine e poi abbiamo ritentato», sostiene Ganci. «Non ci fu occasione di captazione di questo incontro fra i due».
La cimice smise di funzionare «perché le batterie si scaricano». L’esame dell’avvocato Repici si conclude con una domanda al teste. «La telefonata da voi intercettata il 26 maggio 2010, precedente all’intercettazione ambientale della baracca del primo giugno 2010, è stata fatta oggetto di richieste di proroghe delle intercettazioni diverse da quelle sulla baracca?». «Sicuramente sì – risponde Ganci – se abbiamo continuato un motivo ci sarà stato». Il 26 maggio 2010 è la data di pubblicazione di un articolo sull’Espresso in cui si parla delle stragi di mafia del 1992 e della figura di Aiello. Intercettato, “Faccia da mostro” commentò l’articolo con Giovanni Carrara.

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