COSENZA È stata un’udienza più breve del solito quella che si è tenuta oggi in Corte d’Assise al tribunale di Cosenza, ma non meno significante rispetto alle precedenti. Un’udienza per certi versi complicata per via delle condizioni di salute non proprio ottimali di uno dei due teste ascoltati, l’ottantenne Mario Infantino, il barista-ristoratore che dopo il tragico evento che portò alla morte di Donato Bergamini, si vide piombare nel suo locale una sconvolta Isabella Internò (ex fidanzata del calciatore del Cosenza e unica imputata del processo, oggi assente in aula) e il suo accompagnatore Mario Panunzio. Insieme a Infantino, davanti al collegio giudicante presieduto da Paola Lucente, si è presentata Franca Giovanna Valerio, la donna che insieme all’ex cognato Rocco Napoli e alla sorella Antonietta Valerio, la sera del 18 novembre 1989, a bordo del furgone dell’uomo, videro Bergamini sulla statale 106. Prima delle dichiarazioni di Valerio e Infantino, sono state acquisite le sit di Salvatore De Paola e Luigi Putignano, i barellieri che prelevarono il corpo di Bergamini per portarlo in obitorio.
Franca Giovanna Valerio quel giorno maledetto era a bordo del furgone guidato dall’ex cognato Rocco Napoli, insieme al figlio piccolo e alla sorella. «Era sera – ha affermato la donna, incalzata dalle domande del pm Luca Primicerio – saranno state le 18.30-19 circa. Ricordo bene che ero seduta accanto al finestrino, anche se so che mia sorella sostiene che quel posto lo occupava lei. Dovevamo andare a cena a Montegiordano. A un tratto, su una piazzola, ho notato una macchina chiara ferma, col muso in direzione Taranto, sulla quale era poggiato, in piedi, un ragazzo con le braccia conserte e un maglione chiaro. Non sono riuscita a vederlo bene in volto. All’interno dell’auto, seduta sul lato sinistro (del guidatore, ndr), c’era una donna. Aveva la fronte poggiata sulla mano. Sinceramente, in quell’immagine fugace, non c’era nulla che mi potesse far pensare a qualcosa di negativo». Una testimonianza, questa, contestata dal pm nella parte in cui la donna ha descritto Bergamini fermo e poggiato sull’automobile e non in movimento e sul ciglio della strada come dichiarato alla procura di Castrovillari nel 2013.
«Io sono sicura – ha sottolineato Valerio – che il ragazzo era fermo, non so perché a Castrovillari ho dato quella versione. Forse perché, soffrendo di mal d’auto, quel giorno ero nervosa e poco lucida per i tanti spostamenti effettuati». Franca Giovanna Valerio, smentendo nuovamente la sorella Antonietta e Rocco Napoli, ha inoltre aggiunto di non aver avvertito la sterzata improvvisa del volante dell’ex cognato e la sua esclamazione “Quasi quasi lo ammazzavo”. «Questo non è un mio ricordo – ha precisato la donna – ma, piuttosto, qualcosa che ho sentito dire nei giorni seguenti a mia sorella». La teste, sentita successivamente dall’avvocato della difesa Angelo Pugliese, ha anche ammesso di non avere rapporti con la sorella da circa un mese «per motivi familiari».
Dopo Franca Giovanna Valerio, è toccato a Mario Infantino accomodarsi sul banco dei testimoni. L’anziano dal 1976 gestisce insieme ai figli un bar-trattoria sulla statale 106, a Roseto Capo Spulico. La sua, è stata una deposizione complessa, a tratti surreale, a causa dei problemi di udito e, quindi, di comprensione. Per questa ragione, la corte ha acquisito i verbali delle sue precedenti dichiarazioni del 1989 e del 2011 («Non so – ha detto la presidente Lucente rivolgendosi agli avvocati di parte – quanto possano essere utili in questo caso le vostre contestazioni in considerazione delle problematiche di questo teste»). L’uomo, seppure a fatica, ha comunque risposto alle domande del pm e degli avvocati di parte civile Anselmo e Pisa e della difesa Pugliese e Marzocchi. Numerosi i «non ricordo» e le contraddizioni emerse dal suo racconto. A partire dall’orario in cui Isabella Interno e il suo accompagnatore Mario Panunzio, si sono presentati nel locale dopo la morte di Bergamini. «Forse erano le cinque del pomeriggio – ha detto l’uomo –, sono arrivati questo signore anziano di circa cinquant’anni (Panunzio, in realtà, aveva 25 anni, ndr) e una ragazzina che avrà avuto 17-18 anni. Lei piangeva disperata, mi sembrava una drogata. Mi hanno chiesto un telefono e io le dato dieci gettoni. Avrà fatto due o tre chiamate, non so dire quante precisamente. Ha lasciato la rimanenza dei gettoni sul telefono e mi ha chiesto di andare in bagno. Mentre stava scendendo gli scalini per andare in bagno, è arrivato il brigadiere Barbuscio chiedendo ad alta voce dove fosse la ragazza. A quel punto l’ha presa sotto braccio e se l’è portata via». Esternazioni, queste, in forte contrasto con le precedenti rilasciate nel 1989 allo stesso brigadiere Barbuscio, e nel 2011 in procura in cui Infantino, oltre a individuare nelle 19.30 e non nelle 17 il momento dell’episodio, aveva detto di aver sentito dire alla ragazza che il fidanzato si era ammazzato.
«A dire la verità – ha aggiunto Mario Infantino –, il brigadiere Barbuscio non mi poteva vedere perché qualche tempo prima lo avevo ripreso per il comportamento del figlio che aveva picchiato mia figlia piccola. Non la prese bene». Infantino ha anche fornito qualche dettaglio in più su Mario Panunzio, l’accompagnatore occasionale di Isabella Internò. «Se n’è andato subito – ha affermato – non ho parlato con lui», mentre le sue vecchie dichiarazioni dicono il contrario. L’avvocato Fabio Anselmo, ha rivolto l’attenzione sulla visita, nel 2017, a casa dell’uomo di due agenti di polizia che volevano parlare con la moglie di Infantino, Rosa Basile. La donna, però, non rispose alle loro domande perché malata. Un episodio che l’anziano ha detto di non ricordare. Quel giorno i poliziotti rivolsero delle domande ai figli di Infantino e dalle risposte del più grande dei due, Ciro (presente il 18 novembre del 1989 nel bar-ristorante), emerse che la ragazza si poggiò ad una stufa presente nel locale, dicendo che il fidanzato era morto e che la sua Maserati dovesse andare a lei. Per questa ragione la parte civile ha chiesto che lo stesso Ciro Infantino, insieme alla madre e ai due agenti di polizia, venissero ascoltati nelle prossime udienze. Richiesta bocciata dalla corte.
Al termine dell’udienza, l’avvocato Fabio Anselmo, legale di per la parte civile per la famiglia Bergamini, ha parlato di un’udienza che mette in risalto come «la reazione di Isabella Internò sia a intermittenza e disperata a comando. Nella disperazione per la morte del fidanzato – ha detto l’avvocato – lei si preoccupava della Maserati e a chi dovesse andare dopo la morte di Denis. Questo tradisce il suo vero stato d’animo. Circostanze che non emergono solo oggi, ma anche con altri testimoni. Credo che quanto accaduto sia sotto gli occhi di tutti. A distanza di 30 anni ricostruire i minuti credo sia difficile, ma abbiamo gli atti ufficiali dei carabinieri che ci dicono che la chiamata per l’incidente arriva alle 19.30 e che nessuno dei presenti ha mai chiamato i carabinieri e non si sa chi li abbia chiamati. Inoltre, nessuno ci sa dire perché la polizia è sul posto. Evento scoperto grazie ad una foto dove viene riconosciuto un poliziotto, ma nessuno ne annota la presenza. Fatto decisamente anomalo. Andiamo avanti». Si torna in aula il 2 febbraio prossimo. (redazione@corrierecal.it)
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