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Giamborino e le sue intercettazioni: «Ne ho dette tante bugie. I giornali locali sono pornografici»

Controesame dell’accusa all’uomo di fiducia di Luigi Mancuso. I passaggi a Pittelli dal boss e le macchine che li seguivano

Pubblicato il: 20/01/2023 – 19:28
di Alessia Truzzolillo
Giamborino e le sue intercettazioni: «Ne ho dette tante bugie. I giornali locali sono pornografici»

LAMEZIA TERME «Ne ho dette tante bugie nelle intercettazioni…». Quando non può opporre un «non ricordo», o una qualche spiegazione, la risposta di Giovanni Giamborino, alle intercettazioni che il pm Antonio De Bernardo gli mette davanti, è che si è trattato di una bugia. Tante di quelle bigie che infine il pm sbotta: «E la verità la sta dicendo solo a noi?».
Alla risposta affermativa di Giamborino – 61 anni, imputato nel processo Rinascita Scott e considerato un uomo di fiducia del boss Luigi Mancuso col compito di mantenere i rapporti con le altre cosche e con i “colletti bianchi” – il magistrato chiede: «A lei piace dire bigie in giro?».
«Certo!», risponde l’imputato.
«Lei si diverte così», dice De Bernardo.

I passaggi a Pittelli 

Giamborino racconta di avere accompagnato l’avvocato Giancarlo Pittelli, anch’egli imputato in Rinascita Scott per concorso esterno, 4 o 5 volte nell’arco di un anno, nel 2016.
Racconta di avere portato il legale una volta al bivio di Nicotera dove li attendeva Pasquale Gallone e nelle altre occasioni di averlo portato, su richiesta di Luigi Mancuso, direttamente a casa di Pasquale Gallone già condannato in abbreviato a 20 anni per associazione mafiosa, considerato il braccio destro di Luigi Mancuso. A chiedere questi passaggi erano stati sia Gallone che lo stesso «Giancarlo».
Così come fatto in precedenza dall’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Giamborino, il pm chiede come mai i cambi di autovetture e le altre disposizioni ogni volta che si andava a prendere l’avvocato Pittelli, se c’era bisogno di adottare particolari precauzioni.
«No, non c’era nessuna ragione particolare di adottare precauzioni, per quale motivo?»
Nel periodo in cui accompagnava Pittelli da Gallone e Mancuso, Giamborino nega di avere mai saputo di indagini della Dda di Catanzaro sulla sua zona, ovvero il territorio vibonese. «Si parlava, si vociferava ma niente di concreto e niente di che, non sapevo niente, io ero appena arrivato da Roma, fino al 2015 io sono stato sempre fuori, nel 2016 sono rientrato in Calabria».
Per quanto riguarda la collaborazione, a maggio 2016, di Andrea Mantella, elemento di spicco delle consorterie di Vibo Valentia, Giamborino dice che non ne sapeva niente e di averne parlato per la prima volta a fine agosto primi di settembre.
Il pm fa notare che era il periodo degli spostamenti con Pittelli.
«A luglio 2016 – risponde Giamborino – erano usciti i verbali a Vibo, in non so quale processo».

«C’erano della macchine che ci seguivano»

In una occasione, parlando con suo figlio, Giamborino gli dice: «Adesso vedi che il telefono non ce l’ho, che sto andando in un posto e manco un tre/quattro ore. Lo lascio in macchina».
L’imputato afferma che lui il telefono lo lasciava sempre in macchina «perché non avevo necessità di chiamare nessuno, vedevo le chiamate e poi richiamavo io. Se non volevo essere seguito, già sapevo che avevo il gps, che avevo le microspie. So che il telefono è intercettato, ci sono pure le mappe e il satellitare e tutto. Se avevo qualcosa da nascondere lo buttavo a casa (il cellulare, ndr). Mi fa così stupido procuratore?».
«Io non la faccio in nessun modo, io faccio domande», replica il pm che ricorda all’imputato che quello stesso giorno, dopo aver parlato col figlio, si incontra con Pittelli. In quell’occasione l’avvocato Pittelli dice a Giamborino: «L’importante è che non ci vengono dietro, Giovà… Controlliamo bene. Che macchina era quella dell’altra volta Giovà? Attento».
Questo dialogo, dice Giamborino nasce dal fatto che la volta precedente «ci siamo accorti che c’erano delle macchine che ci seguivano e io ho continuato a camminare dritto. Stavo andando all’appuntamento con Gallone all’appuntamento con Gallone, non l’ho trovato e me ne sono tornato indietro». Per l’imputato andare da Pasquale Gallone «non era una cosa illecita» e lui non si stava preoccupando di quello che invece preoccupava Pittelli ma questo, dice Giamborino, «lo dovrebbe chiedere a lui». La domanda che, però, resta là dov’è visto che Pittelli non si è sottoposto all’esame.

«Con tutti sti collaboratori è una cosa automatica che scatta l’operazione»

A settembre 2016 Giovanni Giamborino si prodiga per ritrovare la macchina di tale Ivano Daffinà. In una intercettazione l’imputato si prodiga nel chiede a Daffinà di non parlare al telefono ma solo su whatsapp perché «ora sono momenti delicati che qua sta partendo un’operazione che Vibo la paralizzano, lo sai no? Ottobre novembre, un macello. Questo cane! Tutti, Moscato, questo cane, quello di Lamezia, forse c’è pure qualcun altro che lo tengono nascosto. Hai capito?»
Messo davanti a queste parole Giamborino dice che non voleva essere intercettato – «perché nelle intercettazioni si prendono cavoli per fischi» – e perché lui il telefono non lo portava mai dietro e rispondeva quando vedeva il whatsapp.
Che ci sarebbe stata «un’operazione che a Vibo la paralizzano» lo avrebbe pensato Giamborino senza suggeritori perché, dice, «essendoci tutti sti collaboratori è una cosa automatica che scatta l’operazione no?»
Tutti questi collaboratori sarebbero Raffaele Moscato, Andrea Mantella, una diecina solo a Lamezia Terme.
«E questo “cane” chi è?»
«Ma che ne so io. Per me era un cane che parlava. Perché uno si deve pentire di quello che fa lui, non deve accusare persone innocenti per tutelarsi. Magari mi riferivo a Mantella, mi riferivo pure a Moscato».
Giamborino dice di essere uno inseguito dai creditori e che per questo non amava portarsi dietro il telefono. A Daffinà avrebbe detto dell’operazione che paralizza Vibo perché non voleva raccontargli i fatti suoi e poi perché questa voce, da quando si era pentito Mantella, girava con insistenza «nei bar, nei locali, nei barbieri, dappertutto si parlava».
Nei tragitti in macchina con Pittelli, Giovanni Giamborino racconta che i due parlavano «perché non c’era niente da temere. Io non ho fatto estorsioni, non ho fatto rapine, non ho ammazzato nessuno, non ho fatto niente. Quindi… per le cazzate, pagheremo le c****te se sono da pagare».
Tra gli argomenti di conversazione c’era anche Mantella che si era pentito da poco. «Io non sapevo… Pittelli mi diceva che rovina un sacco di persone, ma niente di più». Giamborino insiste ha niente da temere tanto che Mantella stesso avrebbe detto di averlo incontrato una sola volta e a detta dell’imputato non sarebbe nemmeno vero. 

I giornali locali «pornografici» e le «bugie» dette durante le intercettazioni

Giamborino ci tiene a dire che lui legge solo il Corriere della Sera e che «i giornali locali sono solo pornografici che scrivono tutte le c****te.
Il 12 settembre 2016 Giamborino e Pittelli parlano di Ugo Bellantoni, già indagato e poi stralciato nel procedimento Rinascita.
Pittelli chiede: «Bellantoni massone?»
«Sì, grande capo», risponde Giamborino.
Nel corso dell’udienza Giamborino aveva ribadito la sua ignoranza sul fatto che Bellantoni, col quale aveva «una conoscenza familiare» fosse un massone: «Non ne conosco massoni». Dunque, come si spiega che sia nelle conversazioni intercettate con un’archeologa che con Pittelli, nelle quali la viva voce di Giamborino aveva asserito che Bellantoni era massone?
«Magari ho detto una bugia», risponde Giamborino al pm.
Parlando con Pittelli si parla del fatto che Nazzareno Guastalegname «è nominato» e Pittelli dice «eh sì ma come parte offesa da quest’ultimo signore». Giamborino dice: «Ma le carte di questo ancora non sono uscite al largo». E Pittelli: «Niente».
«Ma adesso ci sono quelle che devono presentare al tribunale che gliel’hanno accettato», risponde Giamborino. «Tutte omissate», dice Pittelli.
Giamborino però afferma che avrebbero accettato l’integrale dei verbali.
I due parlano di un uomo violentissimo, che si è fatto vent’anni di galera e che è stato abbandonato dai familiari.
Viene fuori che si tratta di Mantella.
«E tutte ste cose come le sapeva lei?», chiede il pm.
«Erano scritti sui giornali procuratore – risponde Giamborino –, sono dei pornografici i giornali locali che scrivono tutte le cazzate che ci sono in giro».
«Può darsi che parlavo di Mantella», ammette l’imputato che dice di non avere mai parlato con Luigi Mancuso dei verbali di Mantella.
Giamborino asserisce di non avere mai letto carte ma solo i giornali (locali, ndr). Il pm però gli mette davanti le intercettazioni: «Carte non ce n’è, niente. Che le ho lette io. Te lo dico io. Non hai nessun problema tu, non ti succede niente… Non ce le ha nessuno le carte, Le carte ce le ho solo io. Le ho lette là sotto da Luigi».
Ma Giamborino afferma di non avere letto nessun documento ufficiale di avere detto una bugia per togliersi di torno l’interlocutore.
«Ne ho dette tante bugie nelle intercettazioni». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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