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La ‘ndrangheta che torna come un’Araba fenice dal 1975. Storia del primo “locale” in Lombardia

Il via libera da Polsi. Gli interventi della magistratura antimafia. E le cosche che risorgono sul lago di Como. Che in parte le avversa e in parte no

Pubblicato il: 02/02/2023 – 7:35
di Paride Leporace
La ‘ndrangheta che torna come un’Araba fenice dal 1975. Storia del primo “locale” in Lombardia

Calolziocorte, un tempo provincia di Bergamo. Comune annesso a quello di Lecco quando fu istituita la nuova provincia nel 1992. Il municipio fu fondato nel 1927 quando si fusero i comuni di Calolzio e di Corte, l’anno dopo si aggiunsero le frazioni di Rossino e Lorentino.
Sta in una valle ed è situato a uno schioppo di strada dalla Svizzera, ma anche quasi poggiata a Lecco, e vicino a Como, Bergamo, Milano. Un grande paesone di 15000 anime appartato da occhi indiscreti.
In questo posto sconosciuto gli annali specialistici segnano il primo locale di ‘ndrangheta della Lombardia. Ma tempo dopo è qui anche la prima riunione intercettata dagli investigatori. Ben prima di quella ripresa al circolo Arci “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano.
Già nel 1974 un reportage dell’Eco di Bergamo definisce il paese «uno dei capisaldi della malavita organizzata del Bergamasco». Era zona di confinati e di emigrazione calabrese, solito innesco per trovare il posto piccolo lontano da chi controlla.
A Calolziocorte nel 1975 viene arrestato una sorta di Matteo Messina Denaro dell’epoca. Scattano le manette per Gerlando Alberti, boss di Cosa Nostra, mandamento di Porta Nuova. I ricordi degli anziani lo collocano seduto all’esterno dell’albergo Orologio a controllare il lento andare del paese.

1975: il via libera da Polsi per il “locale” di Calolziocorte

Il gran debutto dei locali di ‘ndrangheta al Nord viene datato 8 settembre 1975, durante la festa della Madonna della Montagna al santuario di Polsi che diede mandato a costituire pochi mesi dopo la cellula operativa di Calolziocorte. Il primo capo sarebbe stato tale Raffaele Iaconis, stava in zona dal 1958. Fu arrestato nel 1980 per un’estorsione, indicato genericamente pentito, verosimilmente collaborò con la giustizia accusando persone di grado inferiore. A quanto pare venne allontanato dalla ‘ndrangheta. Se ne persero le tracce. Nel tempo rimbalzerà alle cronache Bartolomeo Iaconis come capo locale della vicina Fino Mornasco che dista un’ora di automobile da Calolziocorte.
In questa complessa matrioska ricaviamo che la ‘ndrangheta di Calolziocorte, battezzata a Polsi, è strettamente legate a quella di Giffone. Le tesi di laurea e le ricerche sociologiche nate per impulso di Nando Dalla Chiesa hanno accertato che il radicamento in zona della ‘ndrangheta ebbe inizio già negli anni ’50, con un primordiale insediamento nel territorio comasco consistente in una sorta di transumanza di cellule criminali provenienti da Giffone, in provincia di Reggio Calabria, che si trasferivano temporaneamente al Nord per poi rientrare in Calabria al termine della stagione estiva. Ma una sua giurisdizione la deve aver avuta anche Giuseppe Mazzaferro, primo boss con aspirazioni scissionisti dalla casa madre calabrese.

Franco Coco Trovato

Anche il celebre Francesco Coco Trovato, boss modernista di Lecco, è passato da questo paese quando era ancora provincia di Bergamo. Vi risiedeva dal 1972, come ha raccontato un investigatore concittadino che lo arresterà nel 1992: «Già nel 1967 era stato coinvolto in traffico illecito di caffè con la Svizzera. Ma era sempre un signore, affabile ed elegante, cercava di aiutare tutti anche perché era un modo per legare a sé le persone che poi con lui si sentivano in debito. Ma ovviamente questa era la facciata e dietro c’era il resto».

La ‘ndrangheta che risorge

Già, il resto. Una presenza composita quella dei calabresi ‘ndranghetisti a Calolziocorte.
Il 12 aprile del 2014 gli investigatori piazzano il colpo. Filmano con una videoregistrazione in un casale di Castello di Brianza il conferimento della Santa alla presenza del boss di Giffone. È la prima volta che la magistratura ha un atto ufficiale di affiliazione in Lombardia e può a dare avvio all’operazione Insubria il 18 novembre del 2014. Il capolocale è Antonino Mercuri detto “Pizzicaferro”, i venti aderenti sono inchiodati insieme ai loro colleghi di Cermenate e Fino Mornasco. C’era anche un padre che si sbracciava con i padrini per far affiliare il figlio minorenne. L’operazione appurò che lo storico Locale era stato ricostituito nonostante le operazioni precedenti. Come un’araba fenice la ‘ndrangheta di Calolziocorte sempre risorge.

La sala giochi in centro e il consigliere «infame»

Un tempo i calabresi storti si riunivano al Bar Manzoni di via Nullo dove furono rinvenute anche delle armi. C’è stato anche chi si è opposto. Corrado Conti, consigliere comunale d’opposizione del Pd, inizia una battaglia di denuncia contro l’apertura di una sala giochi nel centro vicino ad una scuola (la recente vicenda del Consiglio regionale in Calabria ci ricorda che certe questioni sono purtroppo ricorrenti). Dopo un intervento sul tema in consiglio comunale nella buca delle lettere riceve delle chiare frasi di avvertimento. «Infame, sala giochi… basta… lavatene le mani… lascia stare… basta infamie». Nel 2011 invece l’amministrazione comunale leghista revoca la licenza di un parcheggio ad una società in odor di ‘ndrina. La risposta non si fa attendere. Il 3 settembre 2011 vengono incendiati tutti i mezzi della polizia urbana locale e le fiamme arrivano a lambire il municipio. Al giornale locale il sindaco Paolo Arrigoni dichiara: «Il nostro operato sta veramente dando fastidio a qualcuno».

Il Nord come Isola Capo Rizzuto o Giffone. E quel leghismo d’epoca…

A rileggerle queste notizie di cronache locali, raramente approdate al Corriere della Sera o sul Giorno, senti lo stesso clima di Giffone e di Isola Capo Rizzuto anche quando dopo le operazioni giudiziarie il cronista va in giro in paese a far domande e dall’artigiano lombardo sente rispondersi: «Non voglio apparire: non voglio che domani qualcuno di questi suoni alla mia porta, visto che la ‘ndrangheta a Calolzio c’è sempre stata e sempre ci sarà. L’unica è sperare che non ti tocchi».
A rileggere gli articoli scopri che in zona gli atteggiamenti sul tema erano differenziati sui media. I blog legalitari con toni di denuncia, il mainstream locale a difendere la propria identità come dimostra questo estratto del Corriere di Lecco dopo un’operazione di polizia: «Con faciloneria si parla di infiltrazione mafiosa nel Lecchese, ma i lecchesi (e i comaschi) non hanno nulla a che fare con le tre “Locali” di ‘ndrangheta smantellate dal Ros dei carabinieri nelle province di Como. All’appello della galera rispondono solo nomi di persone provenienti dal Meridione, o nate in famiglie calabresi e, secondo quanto accertato dagli inquirenti, introdotte dai famigliari nell’organizzazione criminale». Un certo leghismo d’epoca alimentava in questi termini l’informazione.

Tra mangiate di capra e soldi sospetti

Certo le intercettazioni ambientali hanno lasciato tracce di antropologia mafiosa con grandi mangiate di capra in cui la tradizione orale ha certificato in forma giudiziaria le ascendenze araldiche della ‘ndrangheta di questa cittadina comasca e infatti con enfasi nel gergo ai giovani rievocano che a Calolziocorte «c’è sempre stata e si è sempre fatta rispettare» e con una sua autorevolezza, sia nella Camera di Controllo di Mazzaferro che alle strette dipendenze del crimine di Polsi.
Un parente di Michele Panuccio, condannato come membro del “locale” di Calolziocorte, a Zurigo a casa sua ospita un summit dove si mangia la solita capra parlando dei clan che operano tra Germania e Svizzera. Una costellazione tutta da decifrare.

Cosimo Vallelonga (foto da Lecco News)

Ma l’araba fenice di Calalziocorte versione ‘ndrangheta torna a volare. Nel maggio del 2017 la Guardia di Finanza segue soldi sospetti. E si imbatte in un pesce piccolo, originario di Crotone, Luciano Mannarino. Titolare di due aziende che producono metalli. Le informative lo indicano vicino alla famiglia Marchio di Calolziocorte. La rete investigative pesca traffici di rifiuti pericolosi, rapporti con il “Vangelo” Cosimo Vallelonga detto “parrucchino”, teste di legno libanesi, industriali comaschi conniventi con buona pace del Corriere di Lecco.
Il 9 febbraio del 2021 scatta l’operazione “Cardine-Money” con 18 arresti e il sequestro di materiali pericolosi e molti soldi. Quattro dei fermati sono residenti a Calolziocorte. Poche settimane prima il prefetto di Como aveva emesso un’interdittiva antimafia per una società edile di Calolziocorte ritenuta contigua al clan Coco Trovato.
Tornerà a volare come un’Araba fenice il più antico clan di ‘ndrangheta della Lombardia? (redazione@corrierecal.it)

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