ROMA Continua a salire il drammatico bilancio del terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito la notte scorsa il sud della Turchia e il nord della Siria. E’ salito ad oltre 3.055 il bilancio dei morti del devastante sisma che ha colpito Turchia e Siria. I feriti sono circa 9.000, ma secondo gli esperti dell’Usgs il bilancio del sisma, il cui epicentro è stato a Kahramanmaras con ipocentro a 10 chilometri di profondità, si potrebbe arrivare a 10.000 morti. Mentre per l’Oms ci potrebbero essere fino a otto volte più vittime rispetto alle attuali. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha proclamato 7 giorni di lutto nazionale. Tutte le scuole rimarranno chiuse per una settimana e tutte le attività sportive sono sospese. Il terremoto, registrato dai sismografi di tutto il mondo, ha distrutto solo in Turchia oltre 2.800 edifici. Tre le scosse registrate subito dopo la prima, in rapida successione alle 2:28, 2:36 e 2:58 ora italiana con magnitudo rispettivamente 5.6, 5.2 e 5.
Almeno 120 scosse di assestamento si sono verificate dopo il potente terremoto di stanotte nel sud della Turchia, secondo un aggiornamento dell’Agenzia turca per la gestione dei disastri e delle emergenze (Afad).
Secondo l’Usgs, che riporta solo le scosse di assestamento più significative che vengono effettivamente avvertite da coloro che si trovano nella zona del terremoto, sono state almeno 43 quelle di magnitudo 4,3 o superiore. Tre delle scosse di assestamento hanno misurato 6.0 o più, incluso il massiccio terremoto di magnitudo 7.5 che ha colpito 95 chilometri (59 miglia) a nord dell’epicentro del terremoto principale del mattino.
«In ogni terremoto si verifica un movimento sul piano di faglia, chiamato anche piano di frattura, che avviene lungo il confine tra le placche. Questo fenomeno è istantaneo e dipende dalla quantità di energia liberata durante l’evento sismico che provoca il terremoto stesso». Lo spiega all’Agi Paolo Messina, ricercatore associato presso l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igag), spiegando che l’Anatolia si è spostata di circa 3 metri dopo la forte scossa registrata in Turchia alle 2:17 di stanotte. «Generalmente – continua l’esperto – questi movimenti possono variare da pochi centimetri fino a diversi metri in funzione della magnitudo del terremoto. In questo caso, vista l’enorme quantità di energia accumulata, è stata osservata una traslazione della placca araba di circa tre metri verso Nordest-Sudovest rispetto a quella anatolica. Le due placche si interfacciano lungo il piano di frattura e hanno provocato un movimento relativo considerevole».
Con una magnitudo di 7,8, il sisma avvenuto fra il Sud-Est della Turchia e il Nord della Siria è stato mille volte più forte di quello di Amatrice del 2016 e 30 volte più forte di quello dell’Irpinia del 1980. La scossa, seguita da centinaia di repliche, è stata registrata dai sismografi di tutto il mondo, fino alla Groenlandia, come ha rilevato l’Istituto geologico danese. Il terremoto è avvenuto in una zona altamente sismica, punto d’incontro della placca Est anatolica, di quella Arabica e dell’Africana, con la prima che viene schiacciata dalla placca Arabica e spinta a Ovest, verso l’Egeo. Ad attivarsi è stata una delle due grandi faglie che attraversano la Turchia, quella Sud-Est anatolica, che «è una delle più attive nel Medio Oriente, insieme a quella del Mar Morto che attraversa Siria, Libano Israele e Giordania e che separa la placca Araba da quella Africana», osserva il presidente dell’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni. E’ lungo questa faglia che i due lembi del suolo si sono spostati: «nella zona di massimo movimento è avvenuto uno spostamento di almeno tre metri», aggiunge Doglioni. Causa dello slittamento è stato un movimento «di tipo transpressivo», vale a dire che lungo la faglia il suolo si è spostato in senso orizzontale (quindi con un movimento di tipo trascorrente), durante il quale è avvenuta anche una compressione fra la placca Anatolica e quella Araba. «Lo spostamento di tre metri è una prima stima», osserva il presidente dell’Ingv e misure più precise, «saranno disponibili non appena avremo i dati satellitari. Al momento abbiamo a disposizione solo modelli numerici». I dati sono attesi dalle Sentinelle del programma Copernicus, di Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa) e dalla costellazione Cosmo Sky-Med, dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi).
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