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Truffe, falsificazioni, ricatti, favori e auto-liquidazioni: così in Calabria si gettano al vento milioni di fondi pubblici

Le fattispecie più esemplari delle irregolarità censurate dalla Corte dei Conti: nel mirino le attività degli amministratori locali e territoriali

Pubblicato il: 24/02/2023 – 19:04
Truffe, falsificazioni, ricatti, favori e auto-liquidazioni: così in Calabria si gettano al vento milioni di fondi pubblici

CATANZARO C’è l’assessore comunale che si auto-pagava prestazioni inesistenti o le pagava agli “amici” politici, c’è il dipendente di un’azienda sanitaria assenteista per ben 15 anni, c’è il tutore della legge che chiedeva sesso in cambio della mancata elevazione di una multa, ci sono i “paladini” dell’antimafia che presentavano documenti falsi per ottenere fondi pubblici. E’ un campionario di piccole e grandi, e comunque gravi irregolarità quello che emerge dalla relazione della Procura regionale della Corte dei Conti per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023. Una casistica esemplare di truffe, raggiri, imbrogli, violazioni di norme, nomine “fuori legge” o inopportune o immotivate, uso distorto e spesso criminale di risorse della collettività: una “fiera dell’illegalità” che tra l’altro ha anche portato spesso la Calabria nel vortice della gogna mediatica (oltre che sulle scrivanie della magistratura non solo contabile). A scandagliarla, mettendo in luce un incredibile e allegrissimo sperpero di denaro pubblico, la Procura regionale della Corte dei Conti sotto le varie voci nelle quali ha esercitato l’azione ipotizzando danni erariali ed emanando i relativi atti di citazione: si va dall’indebita percezione di contributi pubblici alle frodi comunitarie, dalle tante irregolarità in materia sanitaria alle cattive pratiche di amministratori e dirigenti di enti pubblici e al danno all’immagine della pubblica amministrazione.

Contributi e frodi comunitarie

E così la Procura della Corte dei Conti della Calabria ricorda di aver chiesto la condanna di sei soggetti, tra cui due associazioni per oltre 34 milioni in relazione alla gestione del Centro accoglienza migranti di Isola Capo Rizzuto, contestando «l’illecito utilizzo di denaro pubblico perpetrato attraverso i reati di truffa e malversazione, l’emissione di false fatture e la mancata erogazione dei servizi previsti dalle convenzioni stipulate con la Prefettura di Crotone»: è la vicenda finita al centro dell’inchiesta antimafia “Jonny” che – spiega la magistratura contabile – conferma come «la ‘ndrangheta sia un fenomeno socio-culturale che ormai influenza ogni settore, compreso quello della solidarietà sociale». E un danno erariale di oltre 500mila euro è poi ipotizzato, per “la distrazione e l’impropria utilizzazione di fondi pubblici” erogati dalla Regione Calabria e dalla Città Metropolitana di Reggio, a un’associazione, impegnata (sulla carta) nella promozione della cultura della legalità e della conoscenza  della ‘ndrangheta ma che in realtà presentava «a rendiconto dell’ente erogatore, per diverse manifestazioni finanziate, documenti fiscali non veritieri, predisposti o perfezionati ad hoc per ottenere indebitamente i contributi erogati». E risarcimenti per circa 2 milioni sono poi richiesti a un Comune che doveva realizzare impianti per la produzione di energia rinnovabile a valere sul Por Calabria 2007-2013 «non curando tuttavia l’effettivo completamento dei lavori e la messa in opera delle strutture», infatti mai entrate in esercizio. Un caso paradigmatico.

Amministratori e dirigenti di enti pubblici

Come paradigmatico è un altro atto di citazione avanzato dalla Procura della Corte dei Conti a carico degli amministratori di una società in house partecipata da diversi enti locali del Crotonese alla quale era stata affidata la gestione del servizio idrico e poi fallita: il danno, ipotizzato in oltre 27 milioni, per la magistratura contabile sarebbe da addebitare agli amministratori della società perché «il loro operato aveva condotto, nel corso degli anni, a un grave e progressivo peggioramento della situazione economica e patrimoniale sino a condurre alla dichiarazione di fallimento della società». E poi (leggi qui) l’atto di citazione, da circa 120mila euro, a  carico di componenti della Giunta regionale e di dirigenti della Regione per la nomina, avvenuta nel 2017, di un consulente in materia di sanità incaricato «in assenza dei requisiti presupposti» dalla legge e sulla base di un curriculum vitae che «non evidenziava una particolare o elevata qualificazione professionale nella materia». E ancora la “bacchettata” della Procura contabile agli amministratori di un Consorzio di bonifica che avevano aumentato l’indennità dei dirigenti e la successiva liquidazione «in assenza della fissazione di specifici obiettivi e della rendicontazione dell’effettivo raggiungimento degli stessi». E nel mirino della Corte dei Conti, per un danno erariale ipotizzato in ben 345mila euro, anche i comportamenti «illeciti» dell’assessore pro-tempore al Bilancio di un Comune calabrese che «ingerendosi nell’attività economale ha disposto spese emettendo mandati a proprio favore per prestazioni inesistenti o per emolumenti non dovuti, a favore di altri soggetti che rivestivano cariche politiche  e a favore di privati per prestazioni non rese che non potevano essere addebitate al Comune (missioni non avvenute, spese ingiustificate per pranzi e cene private e per feste di paese)»: secondo i carabinieri – annota poi la magistratura contabile – il solerte assessore «faceva fronte alla contrazione di debiti di gioco con il titolare di una tabaccheria con denaro pubblico, emettendo mandati privi di giustificazione a favore di soggetti indicati dallo stesso titolare della tabaccheria».

Reati e danni di immagine alla pubblica amministrazione

Ma tra le fattispecie esemplari citate dalla Procura della Corte dei Conti ci sono poi gli atteggiamenti di quelli che dovrebbero essere “servitori dello Stato” ma che invece approfittano della loro carica pubblica per combinarne di cotte e di crude, provocando un danno incalcolabile all’immagine dell’istituzione da cui dipendono e quindi anche un danno erariale a causa della conseguente rilevanza mediatica che il loro caso ha registrato. Come il danno da oltre 1,5 milioni contestato a un dipendente di un’azienda sanitaria di cui «è stata accertata la reiterazione di condotte assenteistiche per 15 anni consecutivi» (e ci sono sette tra dirigenti e funzionari a giudizio per l’omesso controllo). O il danno da 30mila euro per un poliziotto condannato in sede penale per aver «indotto la persona offesa a promettere favori di natura sessuale in cambio della mancata elevazione del verbale di accertamento della violazione del codice della strada». O il danno (da 40mila euro) contestato a un militare della Guardia di Finanza condannato per concussione per aver «ottenuto somme di denaro da un imprenditore in occasione della conduzione di verifiche fiscali per non segnare le irregolarità riscontrate». O, infine, il danno contestato a un carabiniere condannato per truffa militare continuata aggravata per le continue assenze dal servizio nell’arco di alcuni mesi «nonostante sulla base dei memoriali di servizio risultasse presente in ufficio». (c. a.)

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